Amministratori

No al divieto di accesso dei cani in spiaggia: il Comune deve valutare soluzioni alternative

di Ulderico Izzo

La scelta di vietare l'ingresso agli animali sulle spiagge destinate alla libera balneazione, risulta irragionevole e illogica, oltre che irrazionale e sproporzionata, anche alla luce delle indicazioni regionali che attribuiscono ai Comuni il potere di individuare, in sede di predisposizione del piano urbanistico attuativo (Pua), tratti di arenile da destinare all'accoglienza degli animali da compagnia. L'amministrazione deve valutare la possibilità di perseguire le finalità pubbliche del decoro, dell'igiene e della sicurezza mediante regole alternative al divieto assoluto di frequentazione delle spiagge. Questo è il principio espresso dal Tar Lazio, con la sentenza n. 176/2019.

Il fatto
Il dirigente del Comune di Latina, nel disciplinare la stagione balneare compresa tra il 1° maggio e il 30 settembre 2018, ha vietato di condurre e far permanere qualsiasi tipo d'animale, anche sorvegliato e munito di regolare museruola e guinzaglio, tutti i giorni dal primo giugno per tutta la durata della stagione balneare fino alla data del 30 settembre 2018, concedendo solo la possibilità agli animali di accedere alle spiagge unicamente negli stabilimenti balneari a pagamento i cui concessionari abbiano creato delle apposite zone per l'accesso degli animali.
Il provvedimento è stato impugnato dinanzi al Tar Lazio che lo ha annullato.

La decisione
Il Tar laziale ha annullato il provvedimento impugnato per difetto di motivazione, oltre che per violazione del principio di proporzionalità.
L'obbligo motivazionale contenuto nell'articolo 3 della legge 241/1990 sancisce un principio di portata generale, al quale sono poste limitatissime eccezioni espressamente rese esplicite dal legislatore ovvero individuate in sede giurisprudenziale.
Al di fuori di queste eccezioni, si applica il principio generale secondo il quale il provvedimento lesivo deve rendere note le ragioni poste alla sua base, nonché l'iter logico seguito dall'amministrazione, e ciò per evidenti ragioni di trasparenza dell'esercizio del pubblico potere.
L'ordinanza balneare impugnata è riconducibile nella categoria degli atti a contenuto generale (non avendo rilievo in questa sede se abbia o meno natura regolamentare), in quanto indirizzata a una pluralità indeterminata di destinatari.
Questa natura giuridica non comporta tuttavia di per sé una eccezione all'obbligo di motivazione. Per quanto riguarda l'ambito di applicazione dell'articolo 3 della legge 241/1990, la giurisprudenza ha più volte chiarito che si applica in materia il principio di esigibilità, per cui comunque occorre una motivazione, quando ciò sia compatibile con le caratteristiche del provvedimento in questione. A esempio, mentre per le varianti generali agli strumenti urbanistici non occorre una specifica motivazione sulle singole determinazioni incidenti sui vari interessati, non v'è dubbio che una motivazione occorra quando si tratti di varianti urbanistiche aventi un ambito limitato di applicazione, ovvero di atti generali emanati da Autorità indipendenti, incidenti su posizioni di una pluralità indeterminata di destinatari.
Lo stesso principio si applica quando autorità locali intendano limitare l'utilizzazione di auto o di altri veicoli a motore, limitare gli orari di apertura di esercizi pubblici o aperti al pubblico. Anche l'ordinanza che regola le condotte consentite e quelle vietate, per l'utilizzo del demanio marittimo, deve essere motivata, evidenziando quali specifiche esigenze vadano soddisfatte, in correlazione alle limitazioni delle libertà, che ne conseguono. In sostanza, negli atti che rientrano in questa categoria la disciplina dell'obbligo di motivazione attiene alla dimostrabilità della ragionevolezza delle scelte operate dalla Pa.
In questo caso l'amministrazione non ha considerato il principio di proporzionalità, il quale impone alla pubblica amministrazione di optare, tra più possibili scelte ugualmente idonee al raggiungimento del pubblico interesse, per quella meno gravosa per i destinatari incisi dal provvedimento, onde evitare agli stessi inutili sacrifici.
La mancata esternazione nel provvedimento gravato anche di quale sia l'interesse pubblico concretamente perseguito attraverso l'imposizione del divieto contestato non ha impedito la formulazione di un giudizio di sproporzione tra l'atto adottato e il fine con esso perseguito.
La scelta di vietare l'ingresso agli animali e conseguentemente ai loro padroni o detentori sulle spiagge destinate alla libera balneazione risulta irragionevole e illogica oltre che irrazionale e sproporzionata. L'amministrazione avrebbe dovuto valutare se sia possibile perseguire le finalità pubbliche del decoro, dell'igiene e della sicurezza mediante regole alternative al divieto assoluto di frequentazione delle spiagge, a esempio valutando se limitare l'accesso in determinati orari, o individuare aree adibite anche all'accesso degli animali, con l'individuazione delle aree viceversa interdette al loro accesso.

Conclusioni
Il provvedimento amministrativo ha un proprio nucleo portante rappresentato dalla motivazione che è l'anello che unisce la fase istruttoria alla fase decisoria. Se questo anello è mancante, il provvedimento non potrà sfuggire alla propria caducazione.

La sentenza del Tar Lazio n. 176/2019

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©