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Coronavirus, il governo corregge il tiro sui divieti per Dpcm

di Ettore Jorio

Il Governo, con il Dl 25 marzo 2019 n. 19, ha messo a posto (fino a che punto lo si vedrà nel tempo sotto il profilo costituzionale) le «ingenuità» giuridiche commesse con l'attuazione del Dl 6/2020 convertito dalla legge 5 marzo 2020 n. 13. Più precisamente, di quelle originariamente commesse in applicazione dell'articolo 3 nella parte in cui è stata offerta al Governo la potestas di adottare uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri - condivisi anche dai Presidenti delle Regioni interessate dai singoli provvedimenti ovvero da quello della Conferenza delle Regioni quando si tratta di un Dpcm da assumere a destinazione nazionale - per imporre tutte le misure assunte e quelle via via necessarie per tutelare le eventuali ulteriori emergenze di diffusione epidemiologica.

Il ricorso al Dpcm, una opzione molto frequentata dal Premier tanto da averne adottati un elevato numero (8), è stato da subito poco apprezzato dai costituzionalisti (si veda il Quotidiano degli enti locali del 13 e del 20 marzo).

Un problema venuto alla ribalta soprattutto con i divieti di esercizio - comminati attraverso, per l'appunto, Dpcm - del diritto dei cittadini di circolare liberamente «in qualsiasi parte del territorio nazionale» e di riunirsi ovunque, purché pacificamente. Ciò al comprensibile scopo di frenare il diffondersi dell'epidemia e quindi di recuperare, nel tempo, una situazione di normalità salutare collettiva.

Insomma, a tanti non è andato giù - non nel merito bensì nella forma dell'emanazione - il divieto imposto con il Dpcm 22 marzo 2020 «di trasferirsi o spostarsi» comunque «in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano», tranne che per comprovate esigenze di lavoro, assoluta urgenza o motivi di salute. Una previsione che, ancorché comprensibile nelle finalità di massimo contenimento della diffusione del virus, ha avuto modo di concretizzare una notevole compressione dei diritti della persona.

Alla luce della riserva di legge relativa, sancita dall'articolo 16 della Costituzione, c'è stato subito da chiedersi se per questa limitazione della libertà di circolazione e soggiorno fosse davvero sufficiente la base fornita dall'articolo 3 del Dl 6/2020 di rinvio a un atto normativo secondario, ancorché in presenza delle cause sanitarie giustificative. Un quesito che esige una risposta negativa per quanto rilevabile Costituzione alla mano.

Ma vi è stata anche, in proposito, da registrare un'altra stonatura, tra quanto sancito dalla fonte legislativa (Dl 6/2020) e quanto stabilito dal Dpcm. Infatti, se:
• da una parte risultava vero che l'allontanamento dal territorio comunale fosse esplicitamente contemplato dall'articolo 1 e reso possibile dalla clausola aperta dell'articolo 2 e in quanto tale non ci fosse alcun divieto formale all'introduzione di misure più intense di quelle espressamente previste;
• dall'altra, l'estensione di un divieto invasivo a tutti i Comuni dell'intero territorio nazionale avrebbe forse consigliato l'assunzione della decisione con un nuovo atto con forza di legge piuttosto che con un decreto presidenziale attuativo del primo.

Una eccezione, questa, della quale il Governo si è ben reso conto. Più generalmente, di essere intervenuto in più ambiti con una tipologia di provvedimento inadeguato piuttosto che ricorrere al decreto legge. Cosa che ha ben fatto con l'adozione del sesto provvedimento legislativo, di cui all'articolo 77 della Costituzione, con il quale ha, tra l'altro, corretto e virato l'approccio ai provvedimenti necessari ad affrontare la terribile epidemia da Covid-19. Ha fatto una corretta autocritica sull'uso eccessivo e inadeguato dei Dpcm adottati, sanando tuttavia il loro contenuto facendolo proprio nel decreto legge.

Lo ha fatto anche mutando la lettera del precedente assunto, specificando in proposito che, ricorrendone i presupposti di tutela della salute pubblica, può essere posta una «limitazione alla circolazione delle persone». E ancora. Che può essere imposto, con successivo Dpcm, un temporaneo contenimento del diritto di allontanarsi dalla propria residenza, ma anche domicilio e dimora, fatta eccezione esercitarlo, individualmente e/o in uno spazio circoscritto, per esigenze di tipo lavorativo, per necessità e urgenza, per motivi di salute e «specifiche ragioni». Queste ultime, forse, anche per comprendere i giustificati motivi per consentire rientri nelle residenze da dimore e domicili provvisori, tali da non consentire sopportabile, anche economicamente, l'esito del divieto.

Concludendo, l'Esecutivo - oltre che intervenire «in sanatoria» di quanto compiuto sino ad oggi con gli anzidetti Dpcm - con l'esaminato provvedimento ha ritenuto di pervenire ad una sorta di legge quadro, nella quale tracciare il confine tra l'esercizio del potere normativo, sottoposto anche ad alcuni importanti adempimenti di informativa alla Camere, e quello rientrante nella potestà di Regioni e Comuni.

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