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Coronavirus, le ordinanze del sindaco non possono «contraddire» le norme nazionali

di Maria Luisa Beccaria

Il Tar Puglia, con la sentenza 733/2020, ha definito i rapporti tra le fonti normative nazionali e il potere di ordinanza del sindaco.
Nel periodo di emergenza epidemiologica le disposizioni contenute nel Dpcm 22 marzo 2020 e nel Dl 19/2020 impongono il rispetto del principio di non contraddizione dell'ordinamento giuridico.
L'attuazione delle misure di contenimento è stata affidata ai decreti del presidente del Consiglio dei ministri. Nelle more dell'adozione di questi ultimi e con efficacia limitata fino a quel momento, le Regioni hanno potuto adottare e approvare misure più restrittive in presenza di situazioni specifiche sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario nel territorio regionale o in parte di esso, senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica nazionale.
Ma il sindaco non può adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare l'emergenza, in contrasto con le prescrizioni statali.
Mentre in una fase di normalità nazionale l'ordinanza contingibile e urgente serve ad affrontare un'emergenza locale e può derogare all'ordinamento giuridico, nel periodo di emergenza da coronavirus non può superare i limiti posti dalla normativa statale, quanto a presupposti e oggetto.

Il fatto
Invero per le ordinanze contingibili e urgenti va predeterminata la durata degli effetti e va articolata un'adeguata motivazione in base ai dati epidemiologici attendibili sul sopravvenuto aggravamento del rischio sanitario nel territorio. Solo così il sindaco può introdurre un divieto di ingresso nel Comune per un periodo di tempo limitato.
La questione ha riguardato due ordinanze con cui il sindaco di un Comune ha vietato, l'introduzione di pane e derivati del pane nel territorio comunale, con decorrenza immediata, sulla base dell'articolo 1 lettera b) del Dpcm del 22 marzo 2020, e dell'articolo 3 commi 2 e 5 del Dl 19/2020.
Alle due ordinanze si è opposto il titolare di un panificio chiedendone l'annullamento. Il sindaco dopo la tutela cautelare di somma urgenza ha revocato le ordinanze impugnate, basate su una generica affermazione di perdurante rischio sanitario, e prive della indicazione di efficacia nel tempo e della rilevazione di dati epidemiologici a supporto.
Dopo di che il sindaco ha adottato una terza ordinanza fissando il termine dal 24 aprile al 3 maggio 2020, per il divieto di introduzione nel Comune di pane e/o derivati, prodotti da attività artigianali di panificazione di altri Comuni.

L'analisi
Secondo i giudici le norme, sulla base delle quali sono state adottate le prime due ordinanze, sono state erroneamente applicate dal sindaco poiché nel Dpcm 22 marzo 2020 vi è una area di esenzione relativa all'attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico chirurgici, nonché di prodotti agricoli e alimentari, che è stata sempre consentita per non compromettere la fruizione di beni di primaria necessità.
In questa area di inapplicabilità del divieto statale il sindaco non può assumere provvedimenti per riespandere il divieto, perché sarebbero in contrasto con la normativa primaria.
L'attività di rifornimento di cinque supermercati svolta dal ricorrente, finalizzata a rifornire di pane e derivati medie strutture di vendita, è stata classificata dai giudici come vendita all'ingrosso, non essendo indirizzata alla diretta commercializzazione del pane e dei suoi derivati al consumatore, con attenuazione del pericolo di contagio.

La sentenza del tar Puglia n. 733/2020

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