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I limiti della nuova abilitazione

Fatta la legge trovato l’inganno. Si può riassumere così il nuovo caso di “concorsopoli” nelle università italiane che emerge dalle carte dell’inchiesta fiorentina. E che, se confermata, dimostrerebbe tutti i limiti di un sistema - l’abilitazione scientifica nazionale (Asn)- introdotto con la riforma Gelmini del 2010 proprio per arginare la prassi dei concorsi pilotati su scala locale.
Alzare a livello statale la soglia della selezione con una prima fase, affidata a commissioni nazionali di 5 membri scelti per sorteggio, a cui possono partecipare tutti gli aspiranti ordinari e associati e consentire poi ai singoli atenei - con bandi aperti a docenti esterni oppure riservati agli interni - di scegliere tra gli abilitati di prima e seconda fascia non è bastato a evitare “baronie” e “nepotismi” vari. Come dimostrea il fatto che i 7 prof arrestati ieri sarebbero arrivati addirittura a decidere chi poteva abilitarsi in diritto tributario e chi no.

Sin dalla prima tornata del 2013 l’Asn ha mostrato tutti i suoi limiti dando luogo a migliaia di ricorsi in tutta Italia. Un copione che si è ripetuto nel 2016 con la seconda tornata. Da qui la scelta del Miur di rimetterci mano un anno e mezzo fa. Tre le novità principali: il meccanismo è diventato a “a sportello” con domande presentate tutto l’anno e valutate ogni quadrimestre; la maggioranza nelle commissioni è passata dai 4/5 ai 3/5; la durata del titolo è salita da 4 a 6 anni. Ma nessuno di questi cambiamenti sembra poter costituire un argine a fenomeni come quelli descritti nell’articolo accanto. Essendo ancora tanti i margini di discrezionalità lasciati agli atenei, come sottolineato anche dall’Anac nel focus ad hoc contenuto nel piano anticorruzione che è in consultazione fino al 15 settembre e che dovrà poi essere declinato dalle università all’interno dei loro regolamenti.

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