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Immobili Peep, il prezzo imposto è vincolante per tutte le rivendite

Nei contratti di compravendita delle singole unità immobiliari comprese in un piano di edilizia residenziale pubblica, il prezzo imposto dalla convenzione tra impresa costruttrice e Comune ai sensi della legge 865/1971 va applicato sia quando il costruttore vende l’appartamento appena ultimato sia in tutte le rivendite successive alla prima. Lo ha ribadito la Cassazione nella sentenza 13345/2018 precisando che il prezzo «imposto» in virtù delle convenzioni stipulate ai sensi della legge 10/1977 vale invece solo per la prima vendita (tali convenzioni non sono inerenti l’edilizia residenziale pubblica).

Il caso
La controversia concerneva l’inadempimento di un preliminare di vendita, avente a oggetto la proprietà di un appartamento edificato sulla base di una convenzione Peep, stipulata ai sensi della legge 865/1971. In questo contratto preliminare, promittente venditore e promissario acquirente avevano pattuito un prezzo maggiore di quello imposto dalla convenzione; nel conseguente contratto definitivo avevano poi dichiarato un prezzo in linea con quello «imposto» dalla convenzione, ma notevolmente inferiore rispetto a quello pagato. Dopo la stipula del contratto definitivo, la parte acquirente ha domandato la restituzione della differenza tra il prezzo convenzionale e il prezzo sborsato: domanda rigettata dal Tribunale di Savona e dalla Corte d’appello di Genova e accolta in Cassazione.
In linea con la sentenza delle Sezioni Unite 18135/2015 (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 29 settembre 2015), la Cassazione ribadisce che il vincolo del prezzo imposto opera non solo nei confronti del cessionario che acquisti dalla società costruttrice, ma anche nei confronti dei successivi aventi causa dal primo acquirente.

La decisione
La Cassazione fonda, in particolare, la sua decisione sul rilievo che l’articolo 31, comma 49-bis, della legge 448/1998 (introdotto dal Dl 70/2011, convertito in legge 106/2011), ha statuito che i vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 865/1971, «possono essere rimossi… con convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario» verso il pagamento di un corrispettivo stabilito dal Comune stesso. Questa norma dunque evidenzia chiaramente che, in mancanza della predetta convenzione, il vincolo del prezzo «segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita».
Ne segue che la clausola del contratto (preliminare o definitivo) con la quale sia stabilito un prezzo convenzionale superiore a quello «imposto» si intende affetta da nullità e automaticamente integrata con il prezzo «imposto», ai sensi dell’articolo 1419 del Codice civile. Si tratta infatti di una nullità parziale e cioè un vizio che concerne solo la specifica clausola contrattuale contraria a legge, senza estendersi all’intero contratto: con la conseguenza che alla clausola nulla si sostituisce la volontà della legge (ai sensi dell’articolo 1339 del Codice civile); nel caso specifico, la volontà del legislatore di non permettere speculazioni in sede di successiva rivendita a chi abbia approfittato di un regime di favore predisposto per agevolare (nell’acquisto dell’abitazione) i ceti meno abbienti.

La sentenza della Corte di cassazione n. 13345/2018

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