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Accoglienza, razionalizzazione dei servizi agli immigrati all’insegna del risparmio di spesa

di Mimma Amoroso

Il sistema di accoglienza messo in piedi negli anni scorsi con non poche difficoltà dovute alla necessità di fronteggiare la massiccia ondata di flussi migratori dal 2014 al 2017, dovrebbe essere completamente rivisitato dall’attività del neo ministro Salvini, se non addirittura stravolto. E così, dopo aver impedito l’attracco a quelle poche navi che in questi due mesi di Governo hanno effettuato soccorsi in mare, è ora la volta di tagliare i servizi nei centri di accoglienza.

La direttiva
Firmato un protocollo di collaborazione con il presidente dell’Anac Raffaele Cantone, il quale si è impegnato ad affiancare il Viminale per la revisione del capitolato generale d’appalto adottato appena un anno e mezzo fa (marzo 2017, e sempre con il benestare dello stesso Cantone), il 23 luglio scorso ministro ha emanato una nuova direttiva, principalmente rivolta alla propria struttura dipartimentale, per indicare la filosofia che dovrà guidare l’attività di revisione e razionalizzazione dei servizi e che dovrà condurre in ogni caso a una riduzione degli oneri per l’accoglienza nelle strutture di primo livello, lasciando immutate le prestazioni assicurate nelle strutture di secondo livello (in sostanza lo Sprar), perché prestate a favore di beneficiari di una forma di protezione.
Nella stessa direzione, del resto, va la precedente direttiva rivolta alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale affinché l'esame delle domande di asilo avvenga con sessioni di audizione quotidiane e conseguente auspicata riduzione dei tempi di permanenza nelle strutture. Ribadendo la considerazione che solo una minima parte dei richiedenti asilo ottiene effettivamente una forma di protezione, la nuova direttiva chiede di escludere dai servizi prestati ai richiedenti asilo l’erogazione di quelli volti all’integrazione, perché si rischia di fornirli nei confronti di potenziali denegati.

L’articolazione dei servizi sul territorio
La direttiva del 23 luglio non riguarda solo la tipologia di servizi prestati nelle strutture di accoglienza, ma anche la loro articolazione sul territorio, sempre nell’ambito del principio di razionalizzazione (riduzione) della spesa: partendo dalla constatazione che la tipologia di strutture allestite sul territorio corrisponde a strutture di piccole dimensioni, se non addirittura appartamenti con pochi migranti, il nuovo capitolato dovrà disciplinare anche questa particolare tipologia di accoglienza cui fino a ora le disposizioni vigenti non si sono pienamente adattate, essendo più rispondenti alle esigenze delle strutture collettive di medie/grandi dimensioni.
In tal senso, sempre per razionalizzare e ridurre gli oneri, si chiede di tener conto, nel prossimo capitolato, della particolare articolazione delle strutture, di fissare un valore di riferimento per la prestazione dei servizi e di prevedere, per ciascuna tipologia omogenea di strutture di accoglienza, schemi di bandi tipo e relative basi d’asta, con il dichiarato intento di uniformare i servizi sul territorio in un’ottica di risparmio.
Vengono poi enunciati i servizi che possono essere prestati ai richiedenti asilo: vitto e alloggio, cura dell’igiene, tutela sanitaria e altri servizi definiti di assistenza generica alla persona, che dovranno comprendere quanto meno la mediazione linguistica e l’informazione normativa oltre al pocket money (sussidio per le spese giornaliere, nella direttiva) che a quanto pare il ministro non ha potuto eliminare, perché previsto dalla direttiva europea sull’accoglienza, ma che si può immaginare non verrà confermato nella misura attuale pari a 2,50 euro.
A loro volta, tali servizi dovranno essere richiesti con modalità differenti in base alle diverse tipologie di accoglienza. E così, in via esemplificativa, si va dal fai da te che può essere richiesto nelle strutture di accoglienza individuali, quelle prestate negli appartamenti, ove la preparazione dei pasti e la pulizia può essere assicurata personalmente dagli stessi migranti, alla prestazione in rete dei servizi di mediazione o informazione giuridica. In questìultimo caso, si intende prevedere che alcune attività vengano assicurate presso una pluralità di strutture, anche se poste in ambiti contigui.
Particolare attenzione dovrà essere prestata alla determinazione delle basi d’asta di ciascun bando-tipo, rispetto alla quale è richiesto il ricorso ai prezzi standard di riferimento stabiliti da centrali di committenza o dalle delibere Anac.

Il taglio dei servizi allontana l’integrazione
Il principio di fondo - il risparmio della spesa - sembra essere del tutto giustificato e doveroso da parte di chi amministra risorse pubbliche; si ha la sensazione, tuttavia, che manchi una valutazione del contesto in cui ci muoviamo
Nelle strutture di accoglienza vi sono ancora oltre 170mila persone, di cui solo circa 26mila nello Sprar: è quindi evidente la sproporzione che rende il sistema di seconda accoglienza del tutto inadeguato a riservare i propri servizi per sei mesi (periodo minimo di permanenza previsto dalle disposizioni dello Sprar) a tutti quelli che ricevono una forma di protezione e che nel periodo precedente non hanno usufruito di alcuna misura di integrazione né linguistica, né di inserimento nel contesto sociale.
Questa la ragione per cui in precedenza si è cercato di migliorare i servizi anche nella prima accoglienza, in modo da favorire il raggiungimento di un minimo di autonomia tale da consentire, una volta ottenuto il permesso di soggiorno, di abbandonare del tutto l’assistenzialismo e di avviare il proprio percorso di integrazione nella società. Con il taglio dei servizi, invece, sarà invece assolutamente necessario assicurare un passaggio nella rete della seconda accoglienza anche per assolvere ad un preciso obbligo derivante dalle disposizioni comunitarie dirette a garantire che i beneficiari di protezione internazionale possano fruire di misure di integrazione. Si ha dunque la sensazione che l’Italia non sarà in grado di rispettare tale obbligo, a meno che non riesca ad aumentare adeguatamente il numero di posti nelle strutture di secondo livello.
In più, non si considerano adeguatamente l’incidenza numerica e le esigenze dei soggetti vulnerabili, tutelati anche dalle disposizioni europee. Già il nostro sistema di welfare non è in grado di sostenerne il peso per una serie di ragioni, ci si chiede come si possa assicurare loro i «servizi speciali», che certamente non sono compatibili con un programma di revisione della spesa e in un contesto generale che prevede un pacchetto limitato a vitto e alloggio e poco più.
Insomma, anche in questo caso si ha la sensazione che allontanando il momento di un più serio affiancamento socioassistenziale alla fase della seconda accoglienza, si lasci del tutto privi di controllo migliaia di migranti che non verranno messi in grado di comprendere le regole sociali del Paese in cui si trovano (inevitabilmente diverse da quelle del Paese di provenienza), non fosse altro che per l’assenza di qualunque insegnamento della lingua e la conseguente incapacità di rapportarsi con la società che li ospita.
Infine, non va trascurato l'effetto derivante dal taglio dei servizi sul livello occupazionale di persone di qualifiche superiori che hanno trovato nel settore dell’immigrazione una fonte di reddito e di inserimento lavorativo.
Attendiamo comunque l’emanazione del nuovo capitolato per una valutazione più approfondita della svolta impressa dal nuovo ministro dell’Interno.

La direttiva Interno del 23 luglio 2018

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