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No al permesso di soggiorno per precedente espulsione: illegittimo se l’allontanamento supera cinque anni

di Giovanni La Banca

Il provvedimento di espulsione recante il divieto di reingresso di durata decennale (ridotto a cinque anni con la legge n. 129 del 2011) non può costituire motivo ostativo al rilascio del permesso di soggiorno e non può legittimare la revoca del nulla osta, laddove il cittadino straniero ha volontariamente dato esecuzione all’ordine di espulsione allontanandosi dall’Italia per un periodo di tempo superiore a cinque anni. È quanto afferma il Consiglio di Stato, sentenza del n. 5038/2018.

Il casus decisis
Ad un lavoratore straniero, rientrato in Italia nel 2015 dopo essere stato espulso nel 2006, veniva revocato il nulla osta al lavoro subordinato, giacchè destinatario di un precedente provvedimento di espulsione, notificatogli in data 19 ottobre 2006, recante il divieto di reingresso in Italia per la durata di 10 anni, termine non ancora decorso al momento del suo reingresso in Italia avvenuto il 30 novembre 2015.
A sostegno del proprio ricorso, il lavoratore straniero evidenziava che, a seguito dell’adozione della Direttiva europea 2008/115/CE recepita in Italia dalla legge n.129 del 2011, i decreti di espulsione non possono essere comminati per un periodo superiore a cinque anni, sottolineando, altresì, che egli aveva lasciato il territorio nazionale, rientrando in patria, per un periodo superiore al limite massimo di cinque anni: di tal chè, non sussisterebbe la preclusione al suo reingresso in Italia.

I principi in materia
La materia del divieto di reingresso è stata riforma dalla legge n. 129 del 2011, che ha ridotto il termine massimo di divieto di rientro in Italia, diminuendolo da dieci a cinque anni: tale disciplina opera anche in ordine ai provvedimenti emanati anteriormente alla sua entrata in vigore per i quali sia previsto un termine superiore a quello massimo stabilito dalla nuova legge ma conforme a quello ratione temporis applicabile, se la scadenza non sia ancora maturata una volta entrato in vigore il nuovo regime giuridico più favorevole al cittadino straniero espulso.
Ne consegue che al provvedimento espulsivo, ancora pienamente efficace alla data di scadenza dell’obbligo di recepimento della Direttiva (24 dicembre 2010), è applicabile il nuovo termine quinquennale, che sostituisce automaticamente quello precedente.
La direttiva comunitaria ha, invero, previsto un periodo massimo di cinque anni quanto all’efficacia del provvedimento espulsivo, ad eccezione dei casi di pericolosità sociale (articolo 11, comma 3), ed ha escluso misure di divieto di ingresso nei casi di rimpatrio volontario.

La riduzione del periodo interdittivo       
La disciplina nazionale ha ridotto ad un minimo di tre anni e fino ad un massimo di cinque (da determinarsi secondo le circostanze pertinenti al singolo caso) la durata del periodo interdittivo del rientro in Italia in presenza di un provvedimento di espulsione, limitazione in precedenza stabilita per un periodo di dieci anni.
Con la nuova normativa, dunque, viene attenuato sia l’automatismo della durata del periodo di interdizione dell’ingresso in Italia in caso di espulsione, che va di volta in volta raccordato alla fattispecie concreta, sia il principio sancito dall’articolo 11 della direttiva 2008/115/CE, che collega l’apposizione del divieto di ingresso ai casi in cui non sia stato ottemperato all’imposto obbligo di rimpatrio.
Tale ultima evenienza non ricorre in caso di volontario rientro dello straniero al paese di origine, dopo l’emanazione dell’originario provvedimento espulsivo.
Non rileva, infine, il mancato perfezionamento sul piano formale dell’apposita autorizzazione del ministero dell’Interno al rientro in Italia, in presenza del volontario rimpatrio (in questo caso, assicurato dallo straniero una volta accertata, nell’anno 2005, l’assenza del titolo di soggiorno per la presenza in Italia).
L’omessa presentazione della richiesta di autorizzazione al rientro anticipato non può legittimare l’adozione di un provvedimento espulsivo, soprattutto qualora la richiesta, pur presentata, non ha ottenuto riscontro.

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