Amministratori

Per la Tari tariffe da diversificare fra alberghi e agriturismi

di Cosimo Brigida

Il regolamento Tari che disciplina la classificazione delle utenze non domestiche con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti non può prevedere l'assimilazione degli agriturismi agli alberghi, includendoli nella stessa categoria di attività e applicando la medesima tariffa. Secondo quanto emerge dalla sentenza del Consiglio di Stato n.1162/2019, la specialità della tipologia turistica fa dell'agriturismo un'attività economica a sé, contraria alla presunzione che la riconduce all'attività alberghiera. L'agriturismo è finalizzato dalla legge all'obiettivo precipuo del recupero di un patrimonio edilizio rurale; non ha di fatto le caratteristiche aziendali di un albergo.

La controversia
Con ricorso al Tar i titolari di alcune aziende agrituristiche avevano impugnato il regolamento comunale relativo alla tassa sui rifiuti e le tariffe nella parte in cui gli agriturismi venivano equiparati agli alberghi. Le ricorrenti lamentavano la violazione del principio di capacità contributiva; in considerazione della differenza obiettiva fra l'attività agrituristica, che rientra nella categoria dell'imprenditoria agricola secondo l'articolo 2135 del codice civile, e quella alberghiera, in quanto attività commerciale, le tariffe dovevano necessariamente essere differenziate.
Il Tar, nell'accogliere il ricorso, è giunto alla conclusione che, sebbene l'attività agrituristica fosse da classificarsi come utenza non domestica, in quanto i rifiuti prodotti non potevano considerarsi alla stregua di quelli provenienti dalle unità abitative, ciò non avrebbe dovuto condurre alla conclusione che si trattasse di rifiuti provenienti da attività commerciale, in quanto l'attività era qualificata come agricola in base all'articolo 2135 del codice civile. Il rinvio alle norme previste per il settore agricolo non implica comunque che i rifiuti dell'attività agrituristica debbano considerarsi rifiuti agricoli al pari di quelli da attività propriamente agricola (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali). Producendo rifiuti di tipo urbano, anche le attività agrituristiche restano assoggettate alla Tari, con necessaria la differenziazione, tipologica e quantitativa, rispetto alle attività commerciali che sono di altro ordine e natura. Il Tar ha ritenuto quindi illegittimo l'operato dell'amministrazione comunale per aver riservato pari trattamento a situazioni intrinsecamente dissimili; la discrezionalità amministrativa avrebbe dovuto invece tenere conto delle diversità, prevedendo nel regolamento una o più sottocategorie.
Il Comune ha impugnato la sentenza sostenendo di aver applicato, per la commisurazione delle tariffe, il cosiddetto metodo normalizzato (Dpr 158/1999) il quale stabilisce, per le utenze non domestiche, coefficienti di produttività di rifiuti per ogni categoria, con un intervallo tra un minimo e un massimo, senza la possibilità di prevedere categorie o sottocategorie differenti rispetto a quelle indicate. Pertanto, in assenza di una specifica classificazione per l'attività agrituristica, il Comune ha optato per l'assimilazione alla categoria maggiormente affine e, cioè, a quella alberghiera.

La decisione
Il Collegio ha rilevato che il metodo normalizzato, con la previsione di un intervallo di valori minimo e massimo entro cui stabilire coefficienti di produttività per le utenze non domestiche, indica che l'esercizio della discrezionalità amministrativa debba svilupparsi nel rispetto di una ragionevole graduazione, mediante riduzioni ed esenzioni, in rapporto all'effettivo e oggettivo carico di rifiuti prodotti. Pertanto, la previsione di moderazioni per tipologie contraddice l'assunto della rigidità del metodo normalizzato e la possibilità di prevedere «riduzioni tariffarie ed esenzioni» per i «fabbricati rurali ad uso abitativo», la cui qualità di rifiuti non appare dissimile da quella di un agriturismo senza attività di ristorazione, ne è, a titolo esemplificativo, un'ulteriore conferma.
Oltre questo rilievo di massima, i giudici sottolineano che mentre l'assimilazione presuppone l'equivalenza di condizione soggettiva, l'ordinamento differenzia le due fattispecie, sia dal punto di vista dello statuto imprenditoriale e delle finalità dell'attività, sia dal punto di vista dell'ordinamento del turismo. In particolare, per quanto concerne le finalità dell'impresa, l'articolo 1 della legge n. 96 del 2006 considera l'attività agrituristica specificazione dell'attività agricola e non attività assimilabile a quella alberghiera, dalla quale si differenzia per finalità e regime. Dal punto di vista tributario, la normativa riserva all'attività agrituristica una condizione speciale agevolata e, in difetto di specifiche disposizioni, fa rinvio alle norme previste per il settore agricolo. Il rinvio conferma anche dal punto di vista tributario l'estraneità all'attività alberghiera, cioè commerciale. Inoltre la classificazione della legislazione turistica (articolo 8 del Dlgs 23 maggio 2011 n. 79) stabilisce che le strutture ricettive si suddividono, tra le altre, in strutture ricettive alberghiere e paralberghiere e strutture ricettive extralberghiere. È tra queste ultime, e non tra le prime, che si inseriscono «gli alloggi nell'ambito dell'attività agrituristica», evidenziando ulteriormente la diversità tra attività alberghiera e attività agrituristica.

La sentenza del Consiglio di Stato n.1162/2019

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