Amministratori

Rafforzare i servizi pubblici, l'altra sfida del reddito di cittadinanza

di Gianni Dominici (*)

Quella del reddito di cittadinanza è una sfida enorme, ma allo stesso tempo un'opportunità irrinunciabile per l'Italia di rilanciare i Centri per l'impiego e più in generale rafforzare i servizi pubblici, ridisegnando complessivamente la macchina amministrativa.
Il sistema che dovrebbe permettere a oltre 1,3 milioni di famiglie di uscire da uno stato di povertà assoluta ed entrare nel mercato del lavoro, attraverso l'orientamento, la formazione, l'inclusione e la ripresa del lavoro, infatti, oggi non risulta adeguato a sostenere un simile impegno e rischia di collassare se non potenziato. Il Paese, tuttavia, si prepara a investire circa 3,4 miliardi di euro fra il 2019 e il 2021 per potenziare i Cpi, i Servizi sociali dei Comuni, l'Anpal, l'Inps, i Caf e il ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Un investimento significativo che deve realizzare un allineamento di volontà, di capacità e di strumenti attraverso una riforma complessiva del sistema per evitare che per rivelarsi un'opportunità ben sfruttata.

La ricerca
Nella ricerca «Reddito di cittadinanza: siamo pronti?» di FPA Data Insight, il nostro centro studi sulla pubblica amministrazione, abbiamo fotografato le aree su cui ci stanno concentrando gli investimenti e quelle su cui si dovrebbe intervenire per evitare che il sistema si inceppi.
A cominciare dal sistema informativo del lavoro, che dovrebbe diventare davvero interoperabile e utilizzare le tecnologie più attuali per la gestione e l'analisi dei dati, per poter prendere decisioni ragionate e monitorare l'effetto delle misure adottate. E proseguendo con l'inserimento di nuovo personale, l'aggiornamento delle competenze necessarie a seguire i destinatari della misura, la formazione per la gestione delle nuove procedure e la comunicazione.


Il rafforzamento dei Cpi non è più rinviabile. Oggi, soltanto lo 0,7% delle persone in cerca di lavoro che si sono rivolte ai 501 centri pubblici per l'impiego sparsi sul territorio nazionale ha ricevuto un'offerta di lavoro. Il primo punto su cui lavorare è la carenza di personale: gli 8mila dipendenti dei Cpi devono seguire ognuno 359 persone e, se anche un solo membro degli 1,3 milioni di nuclei famigliari beneficiari della misura stimati fosse chiamato a colloquio in un Cpi, il numero salirebbe a 521. C'è poi il nodo della riqualificazione dei dipendenti, che in maggioranza sono di età mediamente avanzata, bassa istruzione (solo il 29% è laureato) e delegano funzioni chiave a figure esterne.
Il reddito di cittadinanza interviene su questi aspetti stanziando 900 milioni di euro per i CPI, a cui si aggiungono altri 440 milioni corrisposti alle Regioni per il reclutamento del personale, che dovrebbe consentire di passare in tre anni dagli attuali 8mila dipendenti a 13.600, riducendo il numero di persone affidati al singolo operatore a 95 destinatari della misura, con circa un operatore ogni 213 persone in cerca di lavoro. Senza un accordo ancora definito con le Regioni, è difficile pensare che queste cifre possano diventare effettive a breve, ma questa è davvero l'occasione per compiere un passo in avanti e avvicinarsi agli altri Paesi europei in materia di servizi pubblici per l'impiego.
Per far partire la macchina amministrativa che dovrà gestire il reddito di cittadinanza, l'Italia si accinge a compiere un grande investimento. Potrà essere una vera svolta anche per la pubblica amministrazione se riuscirà a trasformare un insieme fragile di amministrazioni centrali e locali in una rete integrata.

(*) Direttore generale di FPA

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