Amministratori

Cave di ghiaia, il Consiglio di Stato fissa «i paletti» per la revoca dell'autorizzazione

di Pietro Verna

L'autorizzazione alla coltivazione di una cava di ghiaia, può essere rivalutata dalla Regione alla luce di fatti sopravvenuti, quali l'aumento dell'impatto ambientale, fermo restando che questo potere va esercitato conformemente ai principi stabiliti dall'articolo 21-quinquies della legge 241/1990, ovvero alla valutazione della sussistenza di un interesse pubblico attuale alla revoca anche in relazione all'affidamento ingenerato nel privato.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza 1837/2020 che ha confermato la sentenza del Tar Veneto n. 2384/2010 che aveva accolto il ricorso proposto contro la delibera n. 1922/2004 con la quale la giunta regionale del Veneto aveva ridotto di sedici anni il periodo temporale di una autorizzazione per la coltivazione di una cava ghiaia rilasciata nel 2000 e con scadenza il 31 dicembre 2024, per l'aggravio dell'impatto ambientale prodotto dal sommarsi dell'attività estrattiva con quella di lavorazione e recupero di materiali inerti, autorizzata dalla Provincia di Verona nel 2002.

La sentenza del Consiglio di Stato
Nel giudizio di secondo grado, i difensori della Regione Veneto avevano sostenuto che la delibera regionale era stata adottata ai sensi dell'articolo 31 della legge regionale 44/1982 («qualora sia intervenuta una alterazione della situazione geologica e idrogeologica […] o siano intervenuti altri fattori tali da rendere non tollerabile la prosecuzione dell'attività di cava, è disposta la revoca dell'autorizzazione») e in conformità al parere della commissione tecnica regionale per le attività estrattive. La commissione aveva proposto una serie azioni per la salvaguardia ambientale (la messa a dimora di una quinta arborea protettiva da polveri e rumori, la realizzazione di un argine di terra di circa due metri all'interno di questa quinta, e di un ulteriore filare di piante con funzione protettiva eccetera) e di lasciare invariato il quantitativo di materiale estraibile perché «la domanda di ghiaia nel territorio della provincia di Verona avrebbe consentito all'impresa di completare facilmente la quantità di estrazione prevista […] aumentando il numero dei mezzi impiegati ogni giorno e la loro portata». Argomentazioni che sono state respinte.
Il Consiglio di Stato ha qualificato la delibera sprovvista dei requisiti previsti dall'articolo 21-quinquies della legge 241/1990, nel testo modificato dalla legge 15/2015 («per sopravvenuti motivi di pubblico interesse […] il provvedimento amministrativo a efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato […] Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo».) e in contrasto con il consolidato indirizzo giurisprudenziale in tema di affidamento del privato secondo cui la tutela dell'affidamento del destinatario di provvedimenti amministrativi costituisce un limite all'azione della pubblica amministrazione. La Pa, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dall'articolo 97 della Costituzione, è tenuta a improntare la sua azione agli specifici principi di legalità, imparzialità e buon andamento, nonché al principio generale di comportamento secondo buona fede (Tar Lazio, n. 4455/2012).
Mentre la delibera regionale è risultata priva di una specifica motivazione sull'attualità dell'interesse pubblico alla revoca e irragionevole («uno sfruttamento concentrato in quattro anni piuttosto che diluito nei successivi venti anni»).

Cornice giurisprudenziale
La pronuncia ha confermato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l'intensità dell'interesse pubblico che si intende perseguire con il ritiro dell'atto originario. Ciò implica che:
• non è sufficiente, per legittimare la revoca, un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell'emanazione dell'atto originario;
• la motivazione della revoca deve essere convincente nell'esplicitare, non solo i contenuti della nuova valutazione dell'interesse pubblico, ma anche la sua prevalenza su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole;
• la revoca deve essere preceduta da un «confronto procedimentale» con il destinatario dell'atto che si intende revocare (Consiglio di Stato sentenza n. 5026/2016 e sentenza n. 4206/2018). Confronto che se fosse avvenuto avrebbe presumibilmente indotto l'amministrazione regionale a una rimodulazione del piano di estrazione o alla limitazione di qualche anno del periodo di sfruttamento della cava.

La sentenza del Consiglio di Stato 1837/2020

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©