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Abuso d'ufficio e falso al comandante della polizia locale che tollera il commercio illegale

di Paola Rossi

Il comandante della Polizia locale che chiude un occhio su una seria di attività illecite dei venditori ambulanti è responsabile penalmente e non trova giustificazione neanche quando lamenta di aver avuto un atteggiamento non doloso, ma di semplice e diffusa tolleranza. Come nel caso della festa del Patrono dove aveva chiuso un occhio in relazione alla merce contraffatta esposta al pubblico. Non si tratta di una valida esimente l'atteggiamento di "lasciar fare" vista l'importanza della festa cittadina. La Corte di cassazione con la sentenza n. 22145 di ieri conferma le sentenze di merito sulla configurabilità dei reati connessi a una serie di condotte imputate al vertice della polizia.
Confermato, quindi, il reato continuato di abuso d'ufficio per il comandante che con il proprio atteggiamento aveva avallato un clima diffuso di illegalità nell'attività commerciale dei venditori ambulanti sul territorio di cui aveva il controllo.

Venditore non autorizzato
La prima contestazione era stata quella di aver lasciato correre l'assenza di autorizzazione al commercio nei confronti di un venditore ambulante procurandogli di conseguenza un ingiusto vantaggio patrimoniale. Non vi è dubbio della sussistenza del dolo intenzionale da parte dell'imputato - dice la Cassazione - a fronte di comportamenti reiterati e non di un singolo episodio e, soprattutto vi è conferma di tale intenzionalità nel comportamento successivo di rallentare comunque l'iter di elevazione delle relative contravvenzioni. Da qui la prova della volontà di favorire il commerciante, di fatto beneficiario della condotta illegale reiterata dall'esponente delle forze di Polizia. Contestazione non superabile in alcun modo dal comandante affermando che si trattasse di una tolleranza occasionale, a fronte di un'intercettazione da cui emergeva il fine di favorire l'ambulante.

Merci false
Altro capitolo a carico del Comandante era quello di aver permesso il commercio di beni contraffatti avendo omesso di fare la dovuta denuncia, che avrebbe identificato i venditori illegali. Determinando di conseguenza la mancata adozione degli atti di polizia giudiziaria per interrompere tali comportamenti rilevanti come reato ex articolo 474 del Codice penale. E la Cassazione conferma quindi i reati continuati di omissione di atti d'ufficio e di omessa denuncia.

Occupazione suolo pubblico contro Cds
Confermati anche i reati di falsità ideologica per u n gazebo illegale. Prima di tutto per aver rilasciato un'autorizzazione all'occupazione di suolo pubblico da parte di un venditore ambulante attestando che tale occupazione rispettava le prescrizioni del Codice della strada, mentre questa insisteva tra due strade occupando integralmente il marciapiede e soprattutto incidendo sulla sicurezza della circolazione stradale in prossimità della curva occupata. Stesso reato anche l'aver falsamente affermato, in una nota esplicativa, di aver provveduto a una ricognizione generale delle occupazioni già in essere da parte di esercizi commerciali da cui rilevava che alcune di esse non non rispettavano i requisiti. Mentre, al contrario, tali situazioni di illegalità già sussistevano al momento del rilascio del parere positivo. Il comandante si è difeso affermando che il reato non si poteva realizzare in quanto il parere in questione non è vincolante, ma lo sarebbe la relazione dell'Ufficio tecnico. La Cassazione conferma come rilevante l'attestazione "comunque falsa" fatta dal pubblico ufficiale quando ha dato il suo avallo obbligatorio, ma non vincolante.

Uso di area demaniale
Infine la sentenza accoglie il ricorso, ma con rinvio ad altro giudice, sul reato di invasione di suolo demaniale contestato in concorso ai titolari di una concessionaria. In tale caso emerge la mancanza di prova della demanialità dell'area e della consapevolezza di tale natura da parte degli imputati vista l'incertezza espressa anche dagli uffici del Comune. Prova che andrà invece raggiunta per la condanna o meno degli imputati.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 22145

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