Amministratori

Il Consigliere comunale ha diritto al rimborso delle spese di viaggio in base alla dimora abituale

di Ulderico Izzo

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6359/2019, ha stabilito il principio secondo cui in materia di rimborso delle spese di viaggio, sostenute dall’Amministratore locale ai sensi dell’articolo 84, comma 3, del Dlgs n. 267 del 2000, bisogna tener conto della residenza effettiva dell’Amministratore comunale e non solo di quella anagrafica.

Il fatto
Un sottufficiale della Guardia di Finanza ha chiesto al Comune, presso il quale ha svolto l’ufficio di Consigliere comunale, il rimborso delle spese per trasferte sostenute nel periodo corrispondente al mandato elettorale.
Il Comune, in un primo momento, ha iniziato a porre in essere il rimborso richiesto, poi, attenendosi al parere della Corte dei Conti per il quale il riconoscimento del rimborso presuppone l’accertamento della residenza effettiva del richiedente (laddove il luogo di lavoro non coincide con quello di residenza), sospendeva i pagamenti e comunicava il rigetto dell’istanza e l’avvio della procedura per il recupero di quanto già versato.
Il Comune ha fatto riferimento, infatti, alla residenza anagrafica del Consigliere e non quella del luogo dove lo stesso svolgeva la sua professione.
Tale diniego era impugnato dinanzi al Tar, il quale ne sanciva la legittimità.
La sentenza di primo grado è stata integralmente riformata dal Consiglio di Stato con la decisione in rassegna.

La decisione
La questione è stata risolta dal Consiglio di Stato ponendo attenzione al concetto di residenza, rispetto alla disposizione legislativa di riferimento, rappresentata dall’articolo 84 del Tuel.
In linea generale la nozione di residenza viene in rilevo in molteplici norme, ma non è univoca.
La definizione civilistica di residenza è contenuta all’articolo 43, comma 2, c.c., che si riferisce al luogo in cui la persona ha la dimora abituale, per tale dovendosi intendere, secondo la giurisprudenza, il luogo con cui il soggetto ha una relazione di fatto, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle relazioni sociali.
Inoltre, il Collegio ha evidenziato che, per un verso, la residenza civilistica nel significato di residenza effettiva si contrappone al domicilio che è, invece, una nozione di diritto e corrisponde al luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi; per altro verso, essa non sempre coincide con la residenza anagrafica risultante dai registri anagrafici, in quanto la residenza effettiva identifica il luogo in cui un soggetto dimora abitualmente, mentre quella anagrafica indica il luogo comunicato al Comune, che potrebbe nel tempo successivo al momento della comunicazione non corrispondere più alla dimora abituale della persona.
Poichè non vi è necessaria coincidenza tra residenza anagrafica e residenza civilistica, in materia di rimborso delle spese di viaggio sostenute dall’Amministratore locale (ai sensi dell’articolo 84, comma 3, del Dlgs n. 267 del 2000) in caso di mancata corrispondenza bisogna tener conto della residenza effettiva che può essere provata con ogni mezzo, indipendentemente dalle risultanze anagrafiche.
Se, dunque, l’Amministratore non ha la residenza anagrafica nel Comune in cui è situato il posto di lavoro ma vi ha collocato la propria dimora abituale, può privilegiarsi l’aspetto della tutela dell’espletamento della carica e delle comprovate esigenze connesse all’attività del lavoratore dipendente ed accedere, ai fini della rifusione delle spese di viaggio, all’orientamento giurisprudenziale in base al quale l’obbligo di residenza previsto per i dipendenti pubblici è assolto anche quando il dipendente abbia stabilito la propria effettiva e permanente dimora nel luogo in cui si trova l’ufficio, assimilandosi il concetto di residenza a quello di residenza di fatto ex articolo 43 c.c.

Conclusioni
L’istanza di rimborso delle spese di viaggio, effettuate per la partecipazione alle sedute del Consiglio comunale e per la presenza necessaria presso la sede dell’Ente per lo svolgimento delle funzioni consiliari, doveva essere, dunque, accolta.
L’orientamento giurisprudenziale ritiene, infatti, che occorra provare il luogo della residenza e, nel caso di specie, è pacifico che l’Amministratore comunale, in quanto militare della Guardia di Finanza, alloggiava presso la Caserma ove svolgeva il proprio servizio, cosa che è stata disattesa dal Tar e ciò ha determinato la riforma della sentenza impugnata.

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