Appalti

Anche in sede di verifica di agibilità il Comune può accertare l'abuso edilizio

di Pippo Sciscioli

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 8180/2019 fissa i tratti distintivi fra permesso di costruire e certificato di agibilità nell'ambito del testo unico dell'edilizia.
Il primo è un titolo che autorizza la realizzazione di un intervento edilizio previa verifica del rispetto delle norme urbanistiche ed edilizie.
Il secondo, invece, oggi sostituito dalla Scia a seguito del Dlgs 222/2016, ha la funzione di accertare che il manufatto sia stato realizzato non solo nel rispetto del progetto assentito ma anche della disposizioni vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti.

Le competenze del Sue
Tuttavia, in sede di verifica della segnalazione certificata di agibilità presentata dall'autore dell'intervento edilizio, allo sportello unico per l'edilizia (Sue) del Comune non è preclusa la possibilità di contestare la presenza di difformità costruttive rispetto al titolo abilitativo già rilasciato, poiché l'agibilità svolge una diversa e più ampia funzione e cioè quella di garantire che l'edificio sia idoneo, sotto ogni profilo, a essere utilizzato per le destinazioni consentite.
In sostanza, il Sue prima ancora di verificare le condizioni di salubrità e sicurezza del fabbricato dovrà innanzitutto assicurarsi della conformità edilizia e urbanistica dello stesso, essendo questo il primo presupposto di legittimità alla cui osservanza è istituzionalmente preposto.
Con la conseguenza che, in caso di abusi accertati, il Sue, anche a distanza di molto tempo dalla realizzazione dell'intervento, dovrà adottare i provvedimenti sanzionatori prescritti, dichiarando inefficace la Scia di agibilità.
Il recente intervento del Consiglio di Stato chiarisce compiutamente il ruolo e le competenze del Sue in sede di verifica di agibilità degli edifici, deputata in primo luogo a scongiurare la presenza di abusi che non sono mai sanati dalla precedente inerzia degli organi comunali accertatori.

La natura vincolata dell'ordine di demolizione
Infatti, così come sancito dall'adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 9/2017) il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo o l'irrogazione di una diversa sanzione, per la sua natura vincolata, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso.
Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui il provvedimento sanzionatorio intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso e se il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso.
L'ordine di demolizione presenta un carattere rigidamente vincolato (dovendo essere adottato a seguito della sola verifica dell'abusività dell'intervento) e non richiede né una specifica motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, né una comparazione fra l'interesse pubblico e l'interesse privato al mantenimento in loco dell'immobile.
E questo anche qualora la difformità edilizia venga accertata in sede di istruttoria della pratica di agibilità.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 8180/2019

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©