Fisco e contabilità

Revisori, se il consiglio comunale non calcola il compenso la decisione spetta al giudice

di Vincenzo Giannotti

Sul compenso al revisore dei conti decide il consiglio comunale. In mancanza di un importo deliberato, il giudice non può applicare in via retroattiva l'ultimo deciso dal consiglio, né l'indennità può essere determinata secondo le tariffe professionali. In questo caso il giudice deve dare applicazione alle disposizioni dell'articolo 2233 del codice civile secondo cui il compenso per il prestatore d'opera intellettuale, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo tariffe e usi, è determinato dal giudice. Queste sono le indicazioni della Cassazione (ordinanza n. 24084/2019) chiamata a decidere sul compenso del revisore dei conti di una società municipalizzata.

I compensi dei revisori delle società municipalizzate
I compensi dei revisori dei conti delle società di servizi costituite dagli enti locali sono decisi dal consiglio comunale, applicando le disposizioni dell'articolo 52 del Dpr 902/1986 secondo cui «Al presidente ed ai membri del collegio dei revisori è corrisposta una adeguata indennità il cui ammontare è deliberato dal consiglio comunale, tenuto conto delle dimensioni dell'azienda e delle tariffe professionali vigenti».

I contenuti della controversia
Nulla avendo deciso il consiglio comunale sulla quantificazione dei compensi, il revisore dei conti ha proposto azione giudiziale per vedersi riconoscere il maggiore importo non corrisposto calcolato secondo le tariffe professionali. Il tribunale di primo grado ha condannato dell'azienda a versare il maggiore importo reclamato. Di contrario avviso il giudice di appello che, aderendo alla richiesta dell'azienda, ha considerato corretto l'importo dell'ultimo compenso deciso dal consiglio comunale pur se risalente a più di dieci anni, condannando così il revisore a restituire i maggiori importi ricevuti. Il revisore, pertanto, ha proposto ricorso in Cassazione sostenendo che i giudici di appello avrebbero indebitamente esteso la validità delle delibere di dieci anni prima, senza considerare che esse avevano effetto limitato nel tempo atteso che, per il loro contenuto oggettivo, avevano determinato il compenso dei revisori non in generale, ma con specifico riferimento a quelli nominati. In altri termini, secondo il ricorrente, il consiglio comunale ha l'obbligo di determinare il compenso, da corrispondere a ogni singola e specifica costituzione del collegio dei revisori e che, in mancanza, è del tutto legittimo applicare le tariffe professionali.

La decisione della Cassazione
I giudici della Cassazione hanno condiviso l'eccezione del revisore secondo cui il compenso spettante ai revisori deve essere determinato in relazione a ogni singola e specifica nomina. Infatti, il conferimento di un incarico non gratuito a un privato, da parte della pubblica amministrazione, deve essere accompagnato dall'indicazione della spesa e della conseguente remunerazione prevista. Inoltre, in considerazione della natura pubblicistica dell'incarico, la spettanza al revisore deve essere qualificata come indennità e non come corrispettivo o onorario, escludendo in tal modo che essa possa essere eterodeterminata sulla base della tariffa professionale per i dottori commercialisti. L'inapplicabilità del sistema tariffario risulta, altresì, confermata dalla precisazione normativa che essa deve essere "adeguata", rimandando a un criterio di sufficienza che è diverso da quello seguito nell'ambito della tariffa professionale.
Secondo la Cassazione, nel caso di specie deve essere applicato l'articolo 2233 del codice civile secondo cui il compenso per il prestatore d'opera intellettuale, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe e usi, è determinato dal giudice.

L'ordinanza della Corte di cassazione n. 24084/2019

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