Fisco e contabilità

La Corte di conti «prova» il nesso tra accertamento del danno erariale e dissesto dell'ente

di Pasquale Monea

Accertamento del danno erariale e conseguente dissesto. É il principio di un'articolata sentenza della seconda sezione giurisdizionale centrale della Corte dei Conti n. 100/2020 che ha ribaltato la decisione di primo grado, che aveva mandato assolti amministratori e funzionari di un Comune capoluogo, poi finito in dissesto.

La decisione, che si segnala per due importanti punti messi in evidenza dai giudici contabili d'appello, ha a oggetto un importante ed economicamente rilevante contratto di servizio (nel caso di specie si trattava di un servizio di trasporto pubblico) rispetto al quale il giudice di primo grado aveva omesso di valutare il palese difetto di competenza della giunta comunale che aveva rielaborato il «piano di esercizio» approvato dal consiglio comunale, con conseguente maggiore esborso da parte del Comune in violazione delle competenze tra organi, comportando in tal modo un danno ingiusto per il Comune, peraltro in una situazione di grave squilibrio economico finanziario.

La sezione centrale valorizza l'interpretazione a più riprese affermata dalla giurisprudenza amministrativa, per la quale rientra nella competenza del consiglio l'atto di aggiudicazione di un appalto di servizi pubblici e non nella competenza della giunta, in considerazione della marcata incidenza dei pubblici servizi sulla vita della popolazione e della conseguente opportunità, ravvisata dal legislatore, che essa sia riservata all'organo nel quale è assicurata la completa dialettica tra maggioranza e minoranza (in tal senso Tar Umbria, sentenza n. 63/2002).

Su questo presupposto la decisione della sezione centrale ritiene che «l'auto attribuzione di tale potere sia in evidente contrasto con la suddetta ripartizione delle competenze del Tuel che attribuisce al consiglio comunale il potere di adozione degli atti d'indirizzo generale ivi compreso il piano di esercizio per il trasporto pubblico mentre spetta alla giunta ed al sindaco darvi esecuzione», non senza tralasciare che il piano di esercizio aveva comportato studi e costi non indifferenti.

L'aspetto legato alla maggiore spesa sostenuta in violazione dell'obbligo di ridurre il chilometraggio, così come deciso dal consiglio comunale, non è il solo messo in evidenza, essendoci un ulteriore, e sicuramente più rilevante, elemento degno di nota: il collegamento che i giudici d'appello fanno tra la decisione ritenuta produttrice di un danno "ingiusto" e il successivo dissesto finanziario dell'ente. Afferma la sentenza di appello, infatti, come il danno in questione abbia concorso a determinare una situazione di grave squilibrio economico – finanziario, sfociata nel dissesto successivo in considerazione della «significativa entità della maggior spesa sostenuta rispetto a quella preventivata oltretutto priva di una reale copertura finanziaria».

Il seppur breve passaggio contenuto nella sentenza con la prospettazione di un rapporto di causa (o concausa) ed effetto tra la fattispecie dannosa accertata dai giudici e il successivo dissesto dichiarato dall'ente pone una serie di interrogativi di non facile soluzione circa la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 248 del Tuel (per come modificato dall'articolo 3, comma 1, lettera s), del decreto legge 10 ottobre 2012 n. 174 convertito dalla legge 7 dicembre 2012 n. 213) per il quale «gli amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati. I sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili ai sensi del periodo precedente, inoltre, non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo. Non possono altresì ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale, provinciale o regionale né alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Ai medesimi soggetti, ove riconosciuti responsabili, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione».

La sentenza della seconda sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti n. 100/2020

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