Personale

Posizioni organizzative: natura, regole per l'incarico, mobilità e trattamento economico

di Gianluca Bertagna

La rubrica settimanale con le indicazioni sintetiche delle novità normative e applicative intervenute in tema di gestione del personale nelle pubbliche amministrazioni.

La natura di una posizione organizzativa
«La posizione organizzativa si distingue dal profilo professionale e individua nell'ambito dell'organizzazione dell'ente funzioni strategiche e di alta responsabilità che giustificano il riconoscimento di un'indennità aggiuntiva; ove il dipendente venga assegnato a svolgere le mansioni proprie di una posizione organizzativa, previamente istituita dall'ente, e ne assuma tutte le connesse responsabilità, la mancanza o l'illegittimità del provvedimento di formale di attribuzione non esclude il diritto a percepire l'intero trattamento economico corrispondente alle mansioni di fatto espletate, compreso quello di carattere accessorio, che è diretto a commisurare l'entità della retribuzione alla qualità della prestazione resa».
È questo il principio evidenziato dalla Corte di cassazione – sezione lavoro – con la sentenza del 25 ottobre 2019 n. 27384 , con la quale ha respinto la domanda di un lavoratore volta al riconoscimento del proprio diritto a percepire la retribuzione di posizione e/o il trattamento economico per lo svolgimento di mansioni superiori, per aver ricoperto per due anni l'incarico di responsabile di un ufficio presso un Comune, in sostituzione del precedente, collocato a riposo, e fino alla nomina del nuovo incaricato.

Le regole per conferire gli incarichi P.O.
La Corte di cassazione – sezione lavoro – con la sentenza del 23 ottobre 2019 n. 27159 ha accolto il ricorso di una lavoratrice contro gli atti con cui l'ente di appartenenza aveva affidato alcuni incarichi di posizione organizzative ai quali la medesima aspirava. In particolare, il soggetto aveva lamentato la violazione di alcune regole procedurali nel conferimento degli incarichi per cui, in sede di merito, aveva ottenuto il riconoscimento dell'illegittimità dell'attività posta in essere dall'ente e il diritto alla ripetizione della procedura. Pertanto, «il conferimento di una posizione organizzativa […[ si iscrive nella categoria degli atti negoziali, adottati con la capacità ed i poteri del datore di lavoro privato e l'attività dell'Amministrazione, nell'applicazione della disposizione contrattuale, si configura come adempimento di un obbligo di ricognizione e individuazione degli aventi diritto, non come esercizio di un potere di organizzazione».

Le regole per la pesatura delle posizioni organizzative
«L'individuazione degli incarichi e del correlato trattamento economico rientra nell'attività discrezionale dell'amministrazione, che deve tener conto delle proprie esigenze organizzative, […] conseguentemente, […] il diritto del pubblico dipendente a percepire la retribuzione di posizione sorge solo se la Pa ha istituito e graduato la posizione stessa».
È questo quanto affermato dalla Corte di cassazione – sezioe lavoro – con la sentenza del 18 ottobre 2019 n. 26615 , con la quale ha analizzato il caso di una lavoratrice che chiedeva il riconoscimento di differenze stipendiali a titolo di retribuzione di posizione e risultato.
L'incaricata aveva lamentato un'ingiustificata bassa valutazione in ordine alla pesatura della posizione, sicché il giudice di merito aveva riconosciuto le sue ragioni, con conseguente condanna dell'ente a corrispondergli la differenza tra quanto erogato e l'importo massimo astrattamente configurabile per l'incarico. La Cassazione, però, accoglie il ricorso dell'amministrazione, illustrando che dalla natura discrezionale degli atti non deriva l'assoluta insindacabilità degli atti stessi, perché il datore di lavoro, pubblico e privato, è tenuto a osservare le regole procedimentali al cui rispetto l'esercizio del potere è subordinato e inoltre deve garantire nell'esecuzione delle obbligazioni che derivano dal contratto l'osservanza degli obblighi di correttezza e buona fede. Inoltre, la Corte territoriale non poteva sostituire la propria valutazione a quella espressa dal datore di lavoro e ritenere che la retribuzione di posizione dovesse essere riconosciuta nella misura massima, perché in tal modo il giudice d'appello ha disatteso il principio secondo cui l'attribuzione dei punteggi implicava una valutazione discrezionale, seppure ancorata a parametri predeterminati.

Mobilità e divieto di «reformatio in peius»
La Corte di cassazione – sezione lavoro – con la sentenza del 31 ottobre 2019 n. 28110 ha accolto il ricorso di un ente avverso la domanda di una lavoratrice che aveva chiesto accertarsi che l'assegno ad personam, riconosciutogli per il mantenimento del livello retributivo nel trasferimento da un'amministrazione a un'altra, fosse non riassorbibile. In particolare, la Corte illustra che in assenza di disposizioni speciali di diverso tenore, l'assegno ad personam, attribuito dalla amministrazione al dipendente per non incorrere nel divieto della reformatio in peius del trattamento economico acquisito, è riassorbibile con le modalità e le misure previste dai contratti collettivi. In ogni caso, il trattamento economico acquisito dal lavoratore deve essere determinato con il computo di tutti i compensi fissi e continuativi erogati al prestatore di lavoro, quale corrispettivo delle mansioni svolte e attinenti, logicamente, alla professionalità tipica della qualifica rivestita.

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