Personale

I dubbi di enti e Pa in materia di aspettativa per motivi familiari e personali

Risposte a cura dell'Aran (*)

Sulla base di un accordo tra ente e lavoratore, in deroga alle previsioni degli articoli 39 e 42 del Ccnl delle Funzioni Locali del 21.5.2018, è possibile concedere un’ulteriore aspettativa per motivi familiari e personali a dipendente che ha già fruito, al medesimo titolo, di un periodo di nove mesi prima che siano trascorsi tre anni? Anche ove la fruizione dell’ulteriore aspettativa porterebbe al superamento della concessione massima di 12 mesi nell’arco del triennio e non rispetterebbe i sei mesi di servizio attivo tra i due periodi di aspettativa? (Comparto funzioni locali)

Relativamente alla particolari problematiche esposte, si ritiene utile precisare quanto segue;
a) sulla base delle precise indicazioni dell’articolo 39, comma 1, del Ccnl delle Funzioni Locali del 21.5.2018, la durata complessiva del periodo di aspettativa per motivi personali non può essere superiore a dodici mesi in un triennio;
b) la suddetta aspettativa, nei termini quantitativi previsti può essere fruita frazionatamente (articolo 39, comma 2, Ccnl del 21.5.2018);
c) ove la fruizione dell’ulteriore periodo di aspettativa nel triennio, portasse al superamento del vincolo temporale dei 12 mesi nel triennio, essa non potrebbe in alcun modo essere concessa; si tratta di una disciplina specifica che non ammette deroghe né unilaterali da parte del datore di lavoro, né consensuali, sulla base di un accordo con il lavoratore;
d) ove, invece, la fruizione dell’ulteriore periodo di aspettativa non comporti il superamento di tale limite temporale dei 12 mesi, allora essa potrà essere concessa;
e) si ricorda che, comunque, in base alla disciplina contrattuale, l’aspettativa può essere concessa solo previa autonoma valutazione della stessa con le esigenze organizzative o di servizio dell’ente;
f) la possibilità di concedere l’ulteriore periodo di aspettativa (ove non comporti il superamento del tetto dei 12 mesi nel triennio)  è comunque subordinata anche al divieto di cumulo sancito dall’articolo 42, comma 1, del medesimo Ccnl del 21.5.2018, secondo il quale:  “1. Il dipendente, rientrato in servizio, non può usufruire continuativamente di due periodi di aspettativa, anche richiesti per motivi diversi, se tra essi non intercorrano almeno quattro mesi di servizio attivo”; per servizio attivo si intende solo la effettiva attività lavorativa;
g) in relazione a tale ultimo aspetto, tuttavia, giova ricordare che nei propri orientamenti applicativi, pubblicati anche sul proprio  sito istituzionale, la scrivente Agenzia, nella vigenza dei precedenti articoli 11 e 14 del Ccnl del 14.9.2000 ha avuto modo di evidenziare  che: “ nel nuovo contesto privatizzato, salvo che non si tratti di disposizioni assolutamente inderogabili in quanto rappresentano la tutela minimale da garantire al lavoratore nel corso di svolgimento del rapporto, gli eventuali comportamenti del datore di lavoro pubblico difformi rispetto alle prescrizioni contrattuali non possono essere valutati in termini di legittimità o di illegittimità, come avveniva nel precedente assetto pubblicistico. Ciò vale soprattutto nel caso in cui vengono in considerazione istituti che possono considerarsi disponibili da parte del datore di lavoro, in quanto la relativa disciplina contrattuale è stata finalizzata alla tutela precisa del suo interesse, come nel caso in esame. Pertanto, ove l’ente, autonomamente valuti conforme al suo interesse organizzativo concedere l’aspettativa di cui si tratta anche in mancanza del servizio attivo richiesto dall’articolo 14 del Ccnl del 14.9.2000, può anche ammettere, assumendosi ogni responsabilità, il dipendente al beneficio, senza che il citato art. 14 possa costituire un ostacolo assolutamente insuperabile. Infatti, l’unico soggetto che potrebbe ricevere un danno dalla violazione della clausola contrattuale è lo stesso soggetto che concede il beneficio al lavoratore. Tuttavia, è opportuno che comportamenti che l’ente intende adottare in materia siano attentamente valutati anche nelle loro conseguenze. Infatti, l’ente, rinunciando a far valere la disciplina relativa al cumulo delle aspettative, ben difficilmente potrebbe giustificare il ricorso a strumenti organizzativi diversi quali il contratto a termine o il lavoro interinale sulla base delle esigenze operative determinate dall’assenza del dipendente. Inoltre occorre considerare che l’art. 14, disciplinando un particolare aspetto del rapporto di lavoro, ha inteso anche dettare una regola unica e uniforme, a garanzia della trasparenza ed imparzialità dei comportamenti datoriali nei confronti di tutti i lavoratori. Pertanto, eventuali deroghe alla regola generale potrebbero determinare richieste emulative da parte di tutti i dipendenti eventualmente interessati, anche con riferimento a forme di aspettative diverse da quelle riconducibili all’art. 13. In tal caso, comportamenti non omogenei del datore di lavoro potrebbero essere fatti valere in sede di contenzioso sotto il profilo della violazione di principi di non discriminazione ed imparzialità.”. Si tratta di indicazioni che, seppure formulate, come detto nella vigenza della disciplina degli articoli 11 e 14 del Ccnl del 14.9.2000, possono ritenersi ancora validi in quanto la nuova regolamentazione della materia riproduce, sostanzialmente, quella precedente;
h) pertanto, conclusivamente, si può dire che il periodo massimo di 12 mesi nel triennio non è assolutamente modificabile, mentre sulla disciplina del cumulo possono ritenersi possibili spazi di flessibilità, nei termini descritti alla precedente lett. g).

(*) Le risposte sono tratte dalle “Raccolte sistematiche degli orientamenti” pubblicate sul sito dell’Agenzia ( www.aranagenzia.it )

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