Personale

Coronavirus/3 - Personale educativo alle dipendenze dei Comuni senza tutele in caso di chiusura

di Amedeo Di Filippo

L'emergenza Covid-19 ha costretto alla chiusura dei servizi educativi e delle scuole in diverse Regioni, disposta con ordinanze del ministero della Salute adottate d'intesa con i rispettivi presidenti. Lo stop temporaneo comporta l'impossibilità della prestazione lavorativa da parte dei dipendenti non solo dello Stato ma anche di numerosi comuni gestori di scuole paritarie e nidi d'infanzia, i quali non dispongono di strumenti normativi e contrattuali per "coprire" le assenze del proprio personale.

Le norme di emergenza
La circolare del ministero della Salute n. 5443 del 22 febbraio si limita a richiamare l'attenzione sulla necessità di implementare attività di sensibilizzazione della popolazione, «con particolare riferimento alle scuole», posizionare i distributori di gel alcolici nei luoghi affollati, tra i quali le scuole, pubblicizzare le misure di prevenzione tramite appositi materiali informativi. Molto più netto il Dl 6/2020, destinato ai Comuni e alle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione del virus, che tra le misure prevede la «sospensione dei servizi educativi dell'infanzia e delle scuole» (articolo 1, comma 2, lettera d), oltre che la sospensione dei viaggi di istruzione (lettera f) e delle procedure concorsuali (lettera i). Il Dpcm 23 febbraio, attuativo del Dl, non fa altro che confermare le misure nei Comuni della Lombardia e del Veneto.
Le Regioni si sono mosse all'unisono sotto la regia del Presidente del consiglio dei ministri e della Protezione civile, ma sul punto hanno utilizzato formule differenti: per la "chiusura" dei servizi educativi dell'infanzia e delle scuole hanno agito il Piemonte, il Friuli Venezia Giulia, il Veneto, la Provincia autonoma di Trento e quella di Bolzano; per la "sospensione" dei servizi hanno optato la Lombardia e la Liguria. La Lombardia ha disposto anche la sospensione «della frequenza delle attività scolastiche e dei servizi educativi da parte della popolazione residente». Diverse anche le eccezioni alla chiusura/sospensione: gli specializzandi nelle discipline mediche e chirurgiche e le attività formative a distanza (Piemonte); i medici in formazione specialistica e i tirocinanti delle professionalità sanitarie (Veneto e Friuli); i corsi telematici universitari (Lombardia); le attività formative svolte a distanza e quelle relative alle professioni sanitarie ivi compresi i tirocini (Liguria).

Sospensione vs chiusura
Una prima questione è legata alla diversa formula utilizzata nelle ordinanze regionali: la "sospensione" comporta la mancata erogazione delle lezioni ma non la chiusura della scuola, che rimane aperta per tutti gli altri servizi, per cui il personale è tenuto alla prestazione lavorativa, fatta eccezione per i docenti, a meno che non possano essere impegnati in altre attività; la "chiusura" investi tutti i soggetti presenti nella scuola, non solo i docenti, che per questo sono impediti di assicurare la prestazione lavorativa.
Mentre nel primo caso l'assenza deve essere giustificata e "coperta" con ferie o permessi personali o ancora recuperi di orario, nel secondo si determina una impossibilità della prestazione per causa di forza maggiore non imputabile al lavoratore, per cui le assenze non devono essere giustificate né coperte e nemmeno determinano una decurtazione dello stipendio. In quest'ultimo caso, infatti, viene evocato il principio sancito dall'articolo 1256 del codice civile: «L'obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile». Questo comporta che, se per ragioni non imputabili al lavoratore la prestazione si renda impossibile, questi non è tenuto al recupero o all'utilizzo di strumenti di flessibilità oraria e resta fermo il diritto alla retribuzione.
Nelle ordinanze regionali vi è però un ulteriore elemento di analisi, dovuto al fatto che anche quando è stata utilizzata la formula della sospensione, questa è correlata non solo alla frequenza delle attività scolastiche ma ai «servizi educativi dell'infanzia e delle scuole». Quindi è lecito dedurre che anche in questi casi la struttura scolastica dovrà rimanere chiusa ed è per questo impedita la prestazione da parte di tutti i lavoratori del contesto scuola.

E le scuole comunali?
Possiamo quindi assumere che in tutti i casi contemplati nelle ordinanze regionali le scuole devono rimanere chiuse, con conseguente impossibilità della prestazione lavorativa per quanti ci lavorano, siano essi docenti, Ata o dirigenti. Per le scuole dello Stato sembra dunque non porsi la questione della necessità dei giustificativi e del recupero del lavoro non prestato, tant'è che alcuni Usr hanno già informato i dirigenti scolastici in questo senso e i sindacati hanno alzato il livello di guardia.
Si pone allora una ulteriore questione, dovuta al fatto che il legislatore puntualmente dimentica che nei «servizi educativi dell'infanzia» albergano non solo le scuole statali ma anche (numerose) "paritarie" gestite dai Comuni e da altri enti locali, a cui si uniscono una miriade di servizi per la prima infanzia, quali nidi e altre tipologie consimili, che quando non sono esternalizzati sono gestiti con personale dipendente. Personale a cui non si applica il contratto della scuola ma quello delle funzioni locali, o meglio del comparto Regioni-autonomie locali, visto che le regole del personale docente ed educativo sono rimaste quelle del 14 settembre 2000.
Le clausole contrattuali non prevedono alcunché per i casi di chiusura forzosa e l'Aran è sempre stata categorica nel sostenere che l'impossibilità della prestazione lavorativa in caso di forza maggiore non è imputabile né al lavoratore né al datore di lavoro, ma con la conseguenza – rovesciata rispetto alla impostazione di cui sopra – che quest'ultimo non è tenuto a corrispondere la retribuzione per i giorni di mancata prestazione, a meno che il lavoratore non giustifichi l'assenza ricorrendo a permessi retribuiti, alle ferie o ad altre modalità di recupero delle ore non lavorate.
Un problema mai risolto per i Comuni e che si spera trovi adeguata e definitiva sistemazione nel decreto in gestazione destinato a "coprire" le assenze di tutti i dipendenti pubblici. Sarebbe infatti oltremodo disdicevole se il legislatore dimenticasse, per una volta in più, la specificità del personale educativo alle dipendenze dei comuni.

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