Personale

Coronavirus, rebus dipendenti delle case di riposo

di Tiziano Grandelli Mirco Zamberlan

Legislatore e Inail dimenticano i dipendenti delle case di riposo e riservano loro un trattamento diverso dai colleghi della sanità, pur svolgendo mansioni del tutto analoghe.

Una prima distinzione è effettuata in sede di riconoscimento dell'incremento dei 12 giorni dei permessi previsti dal l'articolo 33, comma 3, della legge 104/1992. L'articolo 24, comma 1, del decreto «Cura Italia» stabilisce che i permessi previsti per i dipendenti che assistono soggetti con handicap in situazione di gravità ovvero sono loro stessi disabili, ordinariamente stabiliti in 3 giorni al mese, sono ulteriormente incrementati di 12 giorni per i mesi di marzo e aprile 2020. Dal tenore letterale della norma risulta evidente che si tratta di un diritto del lavoratore a fronte del quale poche sono le armi a disposizione del datore di lavoro, soprattutto in un periodo come quello attuale dove il legislatore spinge sulle norme affinché si esca da casa il meno possibile. Una deroga è contenuta nello stesso articolo 24, al comma 2, dove si prevede che l'incremento possa essere concesso al personale sanitario delle aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale solo compatibilmente con le esigenze organizzative. Questo si traduce, in pratica, in scarse possibilità di fruizione da parte dei soggetti da ultimo individuati in quanto l'emergenza da Covid-19 impegna in maniera pressante il personale sanitario. Da questa previsione sono escluse le case di riposo, spesso organizzate in fondazioni, che non fanno parte del sistema del Ssn. Quindi, pur dovendo garantire servizi socio-assistenziali ed essendo presente anche personale medico e infermieristico, a quest'ultimo l'incremento dei 12 giorni di permesso spetta di diritto e non si possono opporre le esigenze di servizio. Risultano evidenti le conseguenze: i dipendenti che hanno diritto si possono assentare per 18 giorni tra la metà di marzo e la fine di aprile, vale a dire quasi i due terzi del tempo lavoro, con ripercussioni molto negative sulla gestione della stessa casa di riposo.

Un'ulteriore differenziazione è stata effettuata dall'Inail. Con nota del 17 marzo, l'Istituto ha fornito istruzioni nel caso di contagio da Covid-19 degli operatori sanitari, riconducendo l'ipotesi all'infortunio sul lavoro, qualora possa ragionevolmente essere stato contratto all'interno della struttura sanitaria dove prestano servizio. Ciò è previsto nell'articolo 42 del Dl. 18/2020; la disposizione non parla però di personale sanitario ma, genericamente, di «casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro». L'Inail, al contrario, restringe il raggio d'azione della norma ai «lavoratori dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale e, in generale, di qualsiasi Struttura sanitaria pubblica o privata assicurata con l'Istituto». Le case di riposo sembrano non potersi annoverare fra queste strutture sanitarie e, quindi, per gli infermieri e gli operatori socio-assistenziali da loro dipendenti, che contraggono il virus sul luogo di lavoro, non risulta certo se possono essere considerati in infortunio, con il conseguente ristoro dell'Inail.

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