Appalti

Nelle società in perdita cresce il caos-sanzioni per gli amministratori

di Stefano Pozzoli

Le norme sull'inconferibilità dell'incarico di amministratore di società partecipata, purtroppo, non si ritrovano solo nel Dlgs 39/2013. Una disposizione tuttora in vigore è presente nella legge finanziaria 2007 (articolo 1, comma 734, della legge 296/2006), in cui si statutiva che non potesse essere nominato amministratore di società partecipata, di ente o istituzione chi, nei cinque anni precedenti, avesse chiuso in perdita per tre esercizi consecutivi.

La norma del 2006
La disposizione, creò molto disappunto e venne perciò modificata da una «interpretazione autentica» nella legge finanziaria 2008 (articolo 3, comma 32-bis, della legge 244/2007), che volle limitare l'inconferibilità al caso di oggettiva responsabilità degli amministratori. In sostanza, non poteva «essere nominato amministratore di ente, istituzione, azienda pubblica, società a totale o parziale capitale pubblico chi, avendo ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi analoghi, abbia registrato, per tre esercizi consecutivi, un progressivo peggioramento dei conti per ragioni riferibili a non necessitate scelte gestionali».
La norma, così formulata, comportava l'inapplicabilità del disposto della legge finanziaria 2007. Chi stabilisce che le scelte gestionali sono non necessitate? Deve essere dimostrato da una azione di responsabilità vittoriosa?

La legge di stabilità 2014
La disposizione era diventata nei fatti così inefficace che la legge di stabilità 2014 la considerò di fatto desueta e formulò una nuova sanzione «a decorrere dall'esercizio 2015» che consisteva nella decurtazione di un 30%, dei compensi agli amministratori di aziende speciali, istituzioni e società a partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche amministrazioni locali titolari di affidamento diretto da parte di soggetti pubblici per una quota superiore all'80 per cento del valore della produzione, che nei tre esercizi precedenti abbiano conseguito un risultato economico negativo. Questo a meno che il risultato economico, benché negativo, non fosse coerente con un piano di risanamento preventivamente approvato dall'ente controllante (articolo 1, comma 554, della legge 147/2013). Una scelta, anche questa, non molto efficace e chiara. In concreto o si immagina di applicare la decurtazione agli amministratori successivi al triennio di perdita (e perché mai?), oppure questo accadrà solo nel caso in cui i soci abbiano confermato le medesime persone che erano, per parte del mandato precedente, già in perdita, ma che non possono però essere riconfermati, se le perdite le hanno causate loro.
Il fatto curioso, comunque, è che il Dlgs 175/2016, ha deciso di riproporre una propria versione di entrambe le disposizioni. Quella del 2014, ripresentandola nell'articolo 21, al comma 3. Anche qui contenendone gli effetti alle partecipate in via maggioritaria da amministrazioni pubbliche locali. La seconda, mantenendo in vita il comma 734 della finanziaria 2007 ma abrogando, con l'articolo 27, comma 2, lettera b), la cosiddetta «interpretazione autentica».

Norme e applicabilità
Pertanto, oggi, ove si registrino perdite per 3 esercizi consecutivi su 5 non si è più rinominabili (fino a quando non muta la situazione, ovvero dopo al massimo 3 esercizi). Ma , al tempo stesso se si registrano perdite nei 3 esercizi precedenti, nelle società degli pubblici locali, che abbiano affidamenti diretti, si applica anche una riduzione del compenso, non è chiaro a chi. Lo spirito di questi interventi è condivisibile, ed è creare un deterrente per quegli amministratori di società che siano tentati di adagiarsi, per comodità o acquiescenza, in uno stato di perdita cronica.
Al tempo stesso, però, è difficile concordare con disposizioni apparentemente giacobine ma nei fatti confuse e di difficile applicazione. Meglio sarebbe fare ordine. E scegliere.

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