Appalti

Partecipate, illegittima la fuoriuscita del Comune che non motiva le cause del recesso

di Michele Nico

Il Comune azionista non può recedere «ad nutum» da una società partecipata, adducendo in modo generico le inefficienze e gli inadempimenti in cui la società è incorsa nel disimpegno delle prestazioni convenute nel contratto di servizio. Infatti, il recesso dalla società è un procedimento vincolato all'osservanza di regole ben precise, predeterminate dal codice civile e dallo statuto sociale, sicché se il socio opera trascurando questo onere il recesso deve considerarsi illegittimo e inefficace.
Sulla base di queste argomentazioni, la Corte d'appello di Brescia, con la sentenza n. 621/2019, ha rigettato il ricorso proposto da un Comune avverso la sentenza del Tribunale di Brescia e ha confermato l'illegittimità del recesso dell'ente da una società operante nel settore del servizio idrico integrato.

Le motivazioni del recesso
Il recesso era stato deciso con una delibera del Consiglio comunale, che a sostegno della scelta di uscire dalla società adduceva i seguenti elementi:
• una serie di inefficienze, inadempimenti e ritardi nella gestione del servizio idrico, con la conseguente esigenza dell'amministrazione di utilizzare una diversa modalità di affidamento per la gestione del servizio;
• il dissenso, già manifestato dall'ente in sede di assemblea dei soci, rispetto a un'operazione di riassetto organizzativo del gruppo, che ha portato la società ad assumere la configurazione organizzativa di una holding pura, e a gestire quindi il servizio pubblico in via indiretta, attraverso la partecipazione nelle società operative del gruppo.
La specifica causa di recesso dalla società su cui verte la controversia è la «modifica dell'oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell'attività della società» (articolo 2437, lettera a) e articolo 31 dello statuto sociale).

La decisione dei giudici
Il Tribunale di Brescia aveva dato torto al Comune, osservando che il diritto di recesso del socio sorge solo in presenza di una delle cause previste dalla legge o dallo statuto, per cui spetta al socio recedente, a fronte di eventuali contestazioni, provare la sussistenza della causa di recesso (articolo 2697 del codice civile), mentre l'ente convenuto non aveva assolto a questo onere.
Sia il Tribunale, sia la Corte d'Appello di Brescia hanno concordato nel ritenere che il riassetto organizzativo della società con la conseguente trasformazione di quest'ultima da società operativa a holding pura non rappresentava un elemento indicatore di un cambiamento dell'oggetto sociale, perché a seguito delle modifiche statutarie il medesimo servizio pubblico locale sarebbe stato realizzato con diverse modalità operative.
Secondo i giudici dell'appello, il Comune non ha esercitato in forma corretta il recesso dalla società neppure sotto il profilo dell'affidamento del servizio, adducendo lagnanze sulle inefficienze gestionali.
Il recesso dalla società poteva essere attivato in base alle previsioni statutarie, che effettivamente consentivano all'ente socio di sganciarsi dal soggetto gestore nel caso di gravi e reiterate violazioni del contratto di servizio. Però, lo statuto prescriveva l'adozione di un'apposita procedura preventiva, ossia la convocazione del comitato del controllo analogo, quale organo consultivo tra i soci per l'esercizi del controllo analogo sulla gestione sociale, che è stata invece trascurata.
La negligenza è costa cara al Comune soccombente, a conferma del fatto che la gestione dei rapporti tra l'ente locale e le partecipate esige una particolare cura nell'osservanza delle regole civilistiche, oltreché del diritto amministrativo.

La sentenza della Corte d'appello di Brescia n. 621/2019

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