Appalti

Servizi pubblici, gara illegittima senza la relazione che giustifica la forma dell’affidamento

di Amedeo Di Filippo

Le ragioni della scelta della migliore modalità di gestione del servizio pubblico devono essere compiutamente illustrate nella relazione prevista dall'articolo 34, comma 20, del Dl 179/2012, la cui mancanza determina l'illegittimità degli atti di gara. Lo afferma la quinta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2275/2019.

La questione
Un operatore economico, gestore uscente del servizio di igiene urbana oggetto di affidamento mediante gara, ha contestato la sentenza con cui il Tar ha dichiarato l'illegittimità del provvedimento del Comune di annullamento d'ufficio dell'intera procedura, ritenuta non viziata dalla carenza della relazione illustrativa (articolo 34, comma 20, del Dl 179/2012). L'omissione dell'adempimento costituirebbe, ad avviso dei giudici di primo grado, una mera irregolarità formale e sarebbe perciò inidonea a ledere in concreto l'interesse pubblico alla cui tutela la norma è preordinata.
Il comma 20 dell'articolo 24 dispone che per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che deve dare conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste.
Tra i motivi di appello, l'operatore ha criticato la sentenza del Tar in quanto ha ritenuto la valenza meramente formale e non sostanziale della relazione illustrativa, la cui mancanza sarebbe inidonea a ledere gli specifici interessi pubblici tutelati dalla norma che la prescrive e comunque a comportare il concorrente sacrificio degli altri interessi coinvolti nella vicenda, a cominciare da quello delle imprese ammesse alla prosecuzione della gara, ma anche quello della stessa amministrazione alla conservazione dell'attività amministrativa compiuta.

La relazione
La quinta sezione del Consiglio di Stato rileva la fondatezza dell'appello, contestando alla radice la valenza formale e non sostanziale dell'adempimento relativo alla relazione, in quanto smentita dall'articolo 3-bis, comma 1-bis, del Dl 138/2011 che, nel dettare i criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali, ha imposto agli enti di governo di effettuare la relazione in cui dare conto della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e motivarne le ragioni con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e qualità del servizio.
Nel contesto di sostanziale equiordinazione tra i vari modelli di gestione disponibili per la gestione dei servizi pubblici locali (partenariato pubblico-privato, società mista, affidamento in house), afferma la sezione, l'amministrazione è chiamata ad effettuare una scelta per l'individuazione della migliore modalità di gestione del servizio rispetto al contesto territoriale di riferimento e sulla base dei principi indicati dalla legge.
L'amministrazione è quindi chiamata all'esercizio di poteri discrezionali al fine di tutelare l'interesse generale al perseguimento degli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e qualità del servizio, che devono trovare esito proprio nella relazione illustrativa di cui all'articolo 34, che non può essere derubricata a «mero orpello procedimentale», scrivono i giudici di Palazzo Spada, in quanto si tratta di valutazioni con le quali l'amministrazione deve in maniera congrua e adeguata motivare sull'assenza di alternative praticabili, non potendo ciò essere supplito da una valutazione con prognosi postuma effettuata dal giudicante.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 2275/2019

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