Appalti

Le società fieristiche in regime di concorrenza non sono organismi di diritto pubblico

di Michele Nico

La società a partecipazione pubblica per la gestione del quartiere fieristico di Roma non rientra nella categoria degli organismi di diritto pubblico, l'ente quale operatore economico che svolge un'attività di natura commerciale sul libero mercato, non è soggetto all'applicazione del codice dei contratti e delle norme in tema di appalti pubblici. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 17567/2019.
Questo assunto è in linea con la direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/Ue del 26 febbraio 2014, ove il legislatore comunitario ha sancito che «un organismo che opera in condizioni normali di mercato mira a realizzare un profitto e sostiene le perdite che risultano dall'esercizio delle sue attività non dovrebbe essere considerato un organismo di diritto pubblico, in quanto è lecito supporre che sia stato istituito allo scopo o con l'incarico di soddisfare esigenze di interesse generale che sono di natura industriale o commerciale».
L'argomento non è nuovo, eppure riporta alla luce una problematica quanto mai attuale in rapporto ad alcuni aspetti non ancora ben chiariti in ordine al ruolo, al funzionamento e al regime operativo degli enti fieristici in mano pubblica.

L'analisi della Corte
Rispetto a questi enti, la Suprema Corte ha precisato che, per definire la natura di organismo di diritto pubblico di una società, alla luce dei criteri enucleati all'articolo 3, lettera d), del Dlgs 50/2016, occorre accertare:
• se l'attività svolta dal soggetto gestore è finalizzata alla realizzazione di un interesse generale o risulta necessaria per consentire alla Pa di soddisfare le esigenze di interesse generale alle quali essa è chiamata;
• se la società in questione si lascia guidare da considerazioni diverse da quelle puramente economiche volte alla realizzazione di un profitto.
Di qui il principio secondo cui l'ente fieristico, per essere qualificato come organismo di diritto pubblico, non deve connotarsi quale operatore economico soggetto alle regole di mercato, né esercitare un'attività preminente di carattere commerciale.
In coerenza con questa impostazione, la ratio legis del codice dei contratti è appunto quella di lasciare operare le società pubbliche in regime privatistico, laddove il mercato è meno regolamentato ed esposto alla concorrenza.
Da ciò deriva che alle società partecipate si applica il codice soltanto se svolgono le attività individuate dagli articoli 115-121 (ossia i servizi pubblici locali), mentre se l'attività è esposta alla concorrenza il codice non si applica (articolo 8), né la società potrà qualificarsi come un «organismo di diritto pubblico».

I criteri dell'ente pubblico
Ai fini di questa nozione non basta dunque che il soggetto, munito di personalità giuridica, abbia una partecipazione pubblica maggioritaria, ma occorre la sussistenza concomitante di due ulteriori condizioni, l'una di segno positivo e l'altra di segno negativo.
La prima consiste nella circostanza che il soggetto sia stato istituito al fine di soddisfare un bisogno di interesse generale, ossia riferibile a una collettività di soggetti di ampiezza e contenuti sufficienti a giustificare che il medesimo sia soddisfatto mediante la creazione di un organismo soggetto all'influenza dominante dell'autorità pubblica.
La seconda consiste nel fatto che il bisogno da soddisfare non deve recare una natura industriale o commerciale, tale da non essere soddisfatto mediante lo svolgimento di attività di produzione o scambio di beni e servizi a favore di un'indifferenziata platea d'operatori economici, consumatori o utenti.
Senza la coesistenza di questi presupposti, la società per la gestione dell'attività fieristica deve considerarsi a ogni effetto come un'impresa commerciale che agisce secondo logiche industriali e competitive, al pari di qualsiasi altro operatore economico sul libero mercato.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©