Appalti

Porto di Venezia, la burocrazia blocca gli escavi dei canali

«Per Venezia e il suo porto solo promesse non mantenute». Federagenti (la federazione degli agenti marittimi) rilancia l’allarme sul futuro del porto di Venezia, che rischia di perdere la propria centralità come hub logistico per il sistema imprenditoriale e produttivo del Nord Est a causa dell’insabbiamento dei fondali. I mancati escavi dei canali e la conseguente riduzione del pescaggio rende difficoltosa l’accessibilità al porto per navi che, per effetto del mercato, sono di dimensioni sempre più grandi, in particolare le portacontainer con un pescaggio superiore ai 10 metri e mezzo.
Il 13 febbraio, proprio alla vigilia dell’emergenza Covid-19 e quando le prime contraddittorie notizie incominciavano a rimbalzare dalla Cina, a Venezia, città all’epoca già duramente colpita dall’acqua alta, andò in scena una manifestazione promossa da Federagenti con l’adesione del mondo delle imprese e delle istituzioni, per chiedere un piano di rilancio del porto. Il giorno stesso il governo, in risposta alla manifestazione degli operatori portuali, aveva dichiarato con soddisfazione di aver risolto definitivamente il problema del cosiddetto protocollo fanghi, un atto che avrebbe dovuto dare il via a tutta una serie di lavori di escavi vitali per il porto. Una volta firmato il documento sarebbe stato possibile riprendere lo scavo dei canali e, con i sedimenti non inquinanti, ricostruire le barene lagunari. «Questo non è successo - denuncia Federagenti - e oggi scopriamo che in realtà il protocollo è ancora dentro qualche cassetto ministeriale e non certamente per colpa del Covid-19 che nel frattempo ha sconvolto il nostro paese e il mondo intero». Il protocollo contiene i criteri di sicurezza ambientale per gli interventi di escavazione, trasporto e reimpiego dei fanghi estratti dai canali di Venezia.

Il protocollo «fanghi»
In termini tecnici il protocollo fanghi è quel documento che il governo (ministero dell’Ambiente) avrebbe dovuto mettere a punto oltre due anni fa per adeguare alla legislazione comunitaria la normativa che definisce all’interno della laguna di Venezia come scavare i canali e come individuare i siti di stoccaggio dei fanghi rimossi dai fondali. A livello pratico, l’assenza di questo regolamento ha bloccato tutti i lavori di escavo dei canali che avrebbero dovuto consentire il mantenimento delle profondità previste nel piano regolatore portuale e quindi garantire il passaggio delle navi. Dal canale di Marghera che consente di raggiungere la zona industriale al canale Vittorio Emanuele che potrebbe essere utilizzato per le navi da crociera. «Il protocollo fanghi - ribadiscono gli agenti marittimi - si è insabbiato nella burocrazia ministeriale, bloccando qualsiasi tipo di intervento in laguna e minacciando di paralizzare il porto».
Pino Musolino, presidente Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Settentrionale, dice: «Gli escavi manutentivi sono parte integrante del rilancio per Venezia e il Veneto. È chiaro infatti che la rottura dagli schemi della monocultura turistica passa solo dalla revisione piena e fattuale di un paradigma per troppo tempo considerato come assodato. Se quindi il turismo non basta, dobbiamo impegnarci per far fiorire quei settori, quello portuale e logistico, che funzionano solo se le navi - tutte - possono entrare».

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