Amministratori

No alla cittadinanza italiana se il coniuge ha precedenti penali

di Pietro Alessio Palumbo

È legittimo il rigetto della richiesta di concessione della cittadinanza italiana a causa dei precedenti penali del coniuge. Ciò perché l'interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione dello status di cittadino impone che si valutino le prospettive di un ottimale inserimento del soggetto nel contesto sociale italiano. Con questo postulato il Tar Lazio, con la sentenza n. 4161/2019, ha respinto il ricorso di una cittadina straniera che aveva impugnato il provvedimento di rigetto dell'istanza di concessione della cittadinanza italiana. A sostegno del ricorso la ricorrente aveva segnalato l'irragionevolezza della motivazione del provvedimento con particolare riguardo al fatto che, peraltro, i precedenti penali del consorte erano in gran parte estinti.

Il potere decisionale dell'amministrazione
Il Tar ha evidenziato che il requisito della buona condotta non si sostanzia solo nell'assenza di (propri) precedenti penali, ma presuppone anche la dimostrazione dello stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale. L'amministrazione, dopo aver accertato l'esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, deve effettuare una valutazione delle ragioni che hanno indotto lo straniero a chiedere la cittadinanza italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale. In altre parole, il potere discrezionale in questione si traduce in un apprezzamento condotto sulla base di circostanze atte a dimostrare l'integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, di condotta e familiari. Ne deriva che il controllo sull'atto demandato all'esame del giudice è di natura estrinseca e formale: non può spingersi oltre la verifica della sussistenza di un soddisfacente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti e dell'esistenza di una motivazione logica, coerente e ragionevole.
Il Tar ha ritenuto che il provvedimento contestato rispetti i parametri di sensata congruità. Non vi è ragione per censurare la motivazione del diniego di cittadinanza, in quanto il comportamento del coniuge del ricorrente, valutato come fatto storico e dunque a prescindere dalla intervenuta estinzione di parte dei reati è indicativo di una condotta del gruppo familiare non incline al rispetto delle regole di convivenza civile. Questi principi per il Collegio legittimano le argomentazioni a supporto del provvedimento di rigetto dell'istanza, in quanto ai fini della concessione delle cittadinanza, l'amministrazione sul piano indiziario ha preso in considerazione il grado di regolare inserimento del nucleo familiare della ricorrente nel ambiente sociale. In questa prospettiva, il fatto che sia intervenuta l'estinzione di alcuni reati commessi dal coniuge della ricorrente non muta la consistenza della condotta del gruppo umano di cui è parte attiva e consapevole.
Il Tar ha rimarcato soprattutto l'ampia discrezionalità del Ministero nella valutazione e concessione della cittadinanza italiana, spingendosi fino a una stima della vera e propria «qualità» dell'inserimento sociale dell'interessato che passa per un razionale apprezzamento non solo della condotta personale del soggetto, ma anche della formazione familiare e umana in cui è inserito. In sostanza, il requisito del retto comportamento, non si sostanzia esclusivamente nell'assenza di trascorsi penali, ma presuppone anche la dimostrazione del valido, utile, inserimento del cittadino straniero nel tessuto della comunità nazionale italiana. Una valutazione del quadro d'insieme ma soprattutto della luce tonale dello stesso, attraverso un prudente giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare inconvenienti sociali anche per il solo fatto di essere coniuge di un soggetto che ha avuto una condotta penalmente censurata.

La sentenza del Tar Lazio n. 4161/2019

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