Appalti

Società, al «controllo pubblico» serve la definizione formale

di Gianni Lemmetti e Marco Susanna

Le Sezioni Riunite della Corte dei conti, con la sentenza n. 16/2019, hanno indubbiamente posto una pietra miliare nel processo ermeneutico del concetto di «controllo» nel testo unico per le società partecipate non rappresentando, forse, l'approdo definitivo vista anche la devoluzione alla Sezione delle Autonomie fatta, qualche mese addietro, dalla Corte conti Umbria con deliberazione n. 57/2019 (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa dell'11 aprile 2019).
Il tema del corretto inquadramento del «controllo» nel Tusp rappresenta, forse, il punto di snodo di tutta la disciplina e la sentenza, cosciente di questa centralità, afferma che lo stesso non può essere oggetto di presunzione, ma deve risultare da norme di legge, statutarie, pattizie ovvero, possiamo aggiungere, accordi scritti. Quanto riferito equivale a dire che il controllo deve essere necessariamente «formalizzato» in atti, a nulla rilevando comportamenti concludenti ovvero accordi taciti. In una visione d'insieme la sentenza delle Sezioni Riunite, a parere di chi scrive, presenta conferme e innovazioni interpretative.

La conferma interpretativa
La conferma è direttamente collegata al modus operandi con cui la Sezione è pervenuta alla decisione. L'indagine viene diretta non solo agli aspetti meramente "nominali" legati alla maggioranza dei voti in assemblea ovvero legati alla eleggibilità della maggioranza dei consiglieri, ma anche, e soprattutto, alla verifica della concreta possibilità per i soci pubblici di incidere sulla gestione della partecipata, correttamente interpretando il precetto dell'articolo 2, lettera b) del testo unico. Si tratta, a ben vedere, di verificare in concreto quell'influenza dominante (articolo 2359 del codice civile) o determinante in base al secondo periodo della lettera citata. In quest'ottica è stata verificata la documentazione come lo statuto ed il patto parasociale.

Le innovazioni interpretative
Sicuramente la sentenza chiude all'ipotesi di controllo congiunto sia per l'assenza nel testo unico di una norma in tal senso, superando così anche ipotesi di controllo condiviso come nel secondo periodo dell'articolo 2, lettera b), sia per la considerazione che l'interesse pubblico delle singole amministrazioni ben potrebbe trovarsi a perseguire scelte gestionali o strategiche non in linea con le altre amministrazioni pubbliche. Al riguardo si potrebbe obiettare che la diversità di interesse (pubblico) perseguito non minerebbe la sussistenza di un controllo condiviso da altre amministrazioni nel pieno rispetto del secondo periodo della lettera b) citata. Questo ultimo aspetto porta la Sezione alla definitiva chiusura, anche, verso una interpretazione della Pa quale «soggetto unitario», a prescindere dal fatto che il controllo secondo l'articolo 2359 del codice civile faccia capo a una o più amministrazioni cumulativamente, superando l'orientamento della Direzione VIII a cui diverse decisioni delle Corti dei conti si erano rifatte.
Ma l'aspetto più interessante, a parere di chi scrive, è la definitiva chiusura verso ipotesi di materializzazione del controllo pubblico attraverso comportamenti concludenti. In altri termini, il controllo pubblico non può presumersi in presenza di «comportamenti univoci o concludenti» dovendosi sempre riscontrare queste ipotesi in norme di legge, statutarie, pattizie, e potremmo aggiungere anche in accordi, purché gli stessi siano «formalizzati» e, pertanto, mai attraverso comportamenti concludenti o accordi taciti che, a ben vedere, rappresenterebbe il corollario dell'impossibilità per la Pa di esprimersi per facta concludentia.

Conclusioni
In definitiva la sentenza ha reso evidente che le ipotesi di controllo devono derivare da una corretta e concreta evidenza empirica di quell'influenza dominante richiesta dal legislatore anche del testo unico. Evidenza empirica che passa attraverso un necessario processo di formalizzazione, la cui origine potrà riscontrarsi in leggi, statuti, patti o accordi non taciti, né tantomeno comportamenti concludenti, volti a disciplinare le caratteristiche di quella influenza dominante.

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